Simone Perotti calviniano, la molteplicità e un’ipotesi assurda

Non un romanzo poliziesco, ma una vera inchiesta filosofica l’ultimo romanzo dello scrittore-marinaio Simone Perotti, “Il quoziente umano”. Una delle domande che affiora è: cosa accadrebbe se potessimo dividerci e vivere tutte le vite che la nostra molteplicità tiene chiuse, in potenza, dentro di noi?

È possibile vivere più destini dividendosi e diventando altro da sé, pur restando se stessi? Un’ipotesi assurda, una sfida filosofica che Simone Perotti decide di cavalcare nel suo romanzo Il quoziente umano (288 pagine, 19,50 euro) pubblicato da Mondadori. Un quoziente, il risultato di una divisione, è ciò che dà la molla alla storia che inseguiamo sulla pagina, confrontandoci con diverse esperienze di vita del protagonista, ma anche scoprendo avventure e suggestioni di un personaggio reale, e respirando molto mare. 

Un romanzo alla prima plurale

Bastano poche pagine e la domanda si fa assillante nel lettore: è mai possibile che un personaggio che si suppone essere singolo parli al plurale? La voce è quella di Alberto Luca, il protagonista del romanzo: un doppio nome che ben presto si scinde in due nomi distinti. Un io che dice noi, o forse due persone in una – si potrebbe riassumere così, con una formula -, ma che vivono la propria esistenza in modo autonomo, separato e diverso. Mentre le vicende della vita del protagonista ripercorrono la sua infanzia e l’adolescenza, la separazione prende forma, si prepara al taglio netto. Che avviene, dando poi vita a una serie di scontri e incontri che contribuiranno a tessere la trama di suggestive ipotesi interpretative di questa vicenda. 

Chi è infatti l’io che parla? È Alberto-Luca, una sua metà, o piuttosto una delle sue tante parti? Nell’anno del centenario calviniano viene facile scomodare il visconte Medardo di Terralba, dimezzato nelle sue due parti, una buona e una cattiva, e disequilibrato in estremi che solo con l’unione ritrovano il baricentro. Ma è del resto calviniano il tema della molteplicità, che il romanzo di Simone Perotti pone al cuore della sua narrazione e delle tante domande che via via si fa il protagonista (o i protagonisti?) e che travalicano la pagina per raggiungere il pensiero del lettore. 

Come si risolve il conflitto che ognuno di noi porta con sé e che ha a che fare con la presenza, al nostro interno, di tanti io, molteplici quanto i destini e le possibilità di vita, tutti incompleti proprio perché frammentazioni di un solo essere? E se davvero ci potessimo dividere, cosa ne sarebbe delle ombre, di tutti “gli altri” che abbiamo dentro e che nella semplificazione data dalla nostra “fotografia sociale” sono sempre tagliati fuori? “Basta girare il viso qua, invece che di là, perché la vita intera sia diversa” si legge tra le pagine. La storia prende vita proprio da questo gioco narrativo. Ed ecco in azione Alberto, ma anche Luca: che ne sarà dei loro destini? 

Un’esplorazione profonda

Quella di Alberto Luca non è solo la storia di un’esplorazione del sé legata alla propria duplicità, o anzi molteplicità. È un romanzo ispirato alla storia di Alberto Luca Recchi, un avventuriero di mare e fotografo, noto per essere stato protagonista delle prime esplorazioni sugli squali in Mediterraneo. Un doppio nome che già di per sé è stato un invito a interrogarsi sul doppio, ma anche una vicenda che lega indissolubilmente questa storia di sdoppiamenti e ricerche al mare. 

Non poteva andare diversamente per lo scrittore-marinaio Simone Perotti, per il quale il mare rappresenta un topos narrativo ricorrente, luogo di ricerca inesauribile, di arrivi e di partenze. Si naviga molto, in questo romanzo: nella seconda parte il girovagare a vela nei mari del mondo diventerà la spina dorsale di una delle due personalità del protagonista, e rappresenterà uno snodo narrativo determinante per introdurre un personaggio femminile chiave. Ma, soprattutto, c’è l’esplorazione del mare tra le pagine di Il quoziente umano: sia Alberto che Luca sono infatti attratti, ciascuno a suo modo, dalle profondità del mare. Calarsi con bombole ed erogatore a scoprire gli abissi, il blu profondo abitato solo da creature che, prima delle avventure pionieristiche di Recchi, era davvero difficile vedere in fotografia, è una sorta di pungolo che interroga entrambe le “metà” del protagonista. Stimolo alla divisione di Alberto Luca è non a caso proprio l’invito alla ricerca, il desiderio di indagare le molteplici parti di sé a confronto con la vita, con il mondo. E dove, se non negli abissi dei racconti mitologici dell’infanzia, tra mostri marini e pesci inaspettati, agganciare il senso più simbolico di una ricerca destinata ad accompagnarci per tutta la vita, inseguendo una verità la cui unica natura è sfuggente come un’ombra fugace o come un odore impalpabile? 

Chi siamo, e quanti siamo?

Tutta la vicenda di Alberto Luca, e questo è il pregio di una storia che si dipana per “parti”, che sono i capitoli, e per “quadri”, che sono le diverse scene vissute e raccontate da narratori ogni volta differenti (oppure no, oppure sono lo stesso narratore nei suoi diversi approcci al mondo?), si srotola sul filo di un’indagine che crea la giusta tensione e sostiene la lettura, pagina dopo pagina. C’è un omicidio, c’è una poliziotta che indaga, ci sono delle persone di cui non si hanno traccia, ci sono segreti inconfessabili e desideri. Eppure non è di un romanzo poliziesco che stiamo parlando, quanto di una vera inchiesta filosofica la cui natura ben si esplicita nell’ultimo capitolo, un “extra romanzo” che inscena due realistici personaggi a confronto con i tanti dubbi e le molteplici possibilità di lettura del libro appena finito. Cosa accadrebbe se potessimo dividerci e vivere tutte le vite che la nostra molteplicità tiene chiuse, in potenza, dentro di noi? Come ci vedono gli altri, e come appariamo al loro sguardo? Ma, ancora e ancora, chi siamo veramente noi, e come potremo raggiungere, forse solo sfiorare, una qualche verità su di noi? La ricerca inizia tra le pagine di questo romanzo per non finire, forse, mai. 

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