Ulloa Donoso, un viaggio oscuro per ritrovare la vita

Spiazza col suo fascino perverso ed ermetico “Ho ucciso un cane in Romania”, romanzo della peruviana Claudia Ulloa Donoso. Una donna sudamericana, alle prese con depressione e dipendenza, accompagna in Romania un suo amico ed ex studente. Sarà un’avventura di incontri misteriosi, incomunicabilità linguistiche, riflessioni sulla morte…

Complesso, audace, imprevedibile, a tratti ermetico, capace di scavare nel dolore, nel mal di vivere, ma di continuare a credere perfino nella vita, irriducibile, necessaria, irrinunciabile. C’è un libro pubblicato nella collana “I selvaggi” di Polidoro editore, dedicata alle letterature di lingua spagnola, che lancia in orbita alle nostre latitudini un’autrice peruviana che sarà bene tenere d’occhio anche in futuro: Claudia Ulloa Donoso, nata nel 1979, è autrice dalla voce riconoscibile, una scrittrice che ha studiato le lezioni del passato ma è capace di proporne di sue per il futuro, con stile e originalità, con una prosa che in quale che passaggio appare tortuosa, ma che merita fiducia per come evolve, assieme a una storia balorda ma significativa. Le generazioni di scrittori peruviani successive a quella del “mostro sacro” Mario Vargas Llosa hanno faticato a trovare una voce e a farla riconoscere in giro per il mondo. Claudia Ulloa Donoso si candida più che mai. I più attenti l’avranno letta, un paio di anni fa, anche in una bellissima antologia pubblicata da Gran Via edizioni, Lejos (ne abbiamo scritto qui), con una serie di racconti di sedici autori che rappresentano il meglio della letteratura del paese andino. Era tra le voci più convincenti, Claudia Ulloa Donoso, e il suo romanzo, Ho ucciso un cane in Romania (418 pagine, 20 euro), nella traduzione di Massimiliano Bonatto, ne è la compiuta dimostrazione.

Ti porto via con me

Dietro quella che potrebbe sembrare la stucchevole tiritera dei romanzo contemporaneo – la protagonista del romanzo, come l’autrice, è una sudamericana che vive in Norvegia e insegna norvegese agli stranieri – la non fiction che forse sì che forse che no, c’è un romanzo che affonda i suoi artigli nella cronica depressione e nelle dipendenze (sedativi e alcol) dell’anonima protagonista, nel suo licenziamento e nella mano che le dà un suo ex studente e ormai amico (allarmato, forse invaghito di lei), Mihai. Quando lui ha necessità di rientrare in patria, in Romania, per non lasciarla sola e scongiurare il peggio, la convince ad andare con lui.

Un cane morto e parlante

Il prologo è spiazzante: a parlare è un cane morto, che spiega come gli animali nell’aldilà acquistino o riacquistino la capacità di parlare, a differenza degli umani, che invece perdono la voce per sempre. Poi s’accende la storia e i due protagonisti affrontano un viaggio nelle viscere della Romania, fra dissidi e scoperte, tra rimpianti di un passato glorioso, quello del popolo romeno, blocchi di cemento e strade buie. Un’avventura (da Bucarest si recheranno a Gosmani, la città natale di Mihai, alias Ovidiu, e nel tempo la tensione fra i due aumenta) fatta di incontri con i vari familiari dell’amico, per la donna che, nonostante le difficoltà linguistiche, sperimenta forme di comunicazione, tra mezze frasi e gesti, tra improvvisate… connessioni. Talvolta è lo stesso Ovidiu a narrare e a mostrare la compagna di viaggio anche sotto una diversa prospettiva. Scorre una Romania, in cui si intrecciano la sfiducia verso il potere (figlia degli anni della dittatura), le credenze popolari, povertà ed emarginazione.

Oscurità e silenzi

È indubbiamente un’opera difficile da inquadrare, quella di Claudia Ulloa Donoso, ma di un fascino perverso: nell’auto sgangherata e sudicia con cui i due personaggi principali vanno in giro c’è un coacervo di dolori e nostalgie, che si mescolano con oscurità, inceppamenti dell’anima, atmosfere misteriose e oniriche, riflessioni sulla morte (per riscoprire la vita…) e sul linguaggio (nodo centrale del libro, presente, assente, frammentato, connesso alle difficoltà relazionali), immagini, silenzi e gesti che possono sembrare incomprensibili, ma che in uno sguardo di insieme acquistano significato. È un viaggio allucinato che dovrebbe concludersi con il praznic del padre di Ovidiu, a sette anni dalla morte. E in cui i gemiti di un cagnolino potrebbero fare la differenza…

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