Provocazione e monito, il cibo secondo Michael Pollan

L’universo del food dispiegato in 83 raccomandazioni in “Manuale dell’onnivoro” di Michael Pollan. Tra osservazioni e riflessioni che prendono di petto l’esperienza della nutrizione come espressione comportamentale di un vivere culturale e sociale, ben oltre la sopravvivenza, e la dimensione del “food porn” nella società liberale…

Ottantatré raccomandazioni per districarsi nel sempre più complesso mondo del food. Un universo che tende di giorno in giorno ad allontanarsi dalla sua funzione primordiale di “nutrimento per l’organismo” e acquisire tra le più svariate connotazioni che spaziano dallo stile di vita al food porn. La casa editrice Adelphi ripropone, in una veste molto attualizzata, il manuale di Michael Pollan uscito nel 2009 e ripubblicato nel 2011. Un libro inserito nei “fuori collana” ma che sembra davvero anche fuori dal tempo e da qualsiasi tentativo di inquadramento.

Cibo sovrabbondante, pericolo per la salute

Manuale dell’onnivoro (230 pagine, 24 euro), con traduzione di Livia Signorini e illustrazioni di Maira Kalman, è con ogni probabilità una provocazione, la contro-narrazione del delirio alimentare in cui l’umanità, o almeno gran parte di essa, sembra essere precipitata da anni ormai. Ed è anche un palese invito alle origini, al passato, al consumo del vero cibo, quello che va a male perché è “vivo”. Per Pollan l’umanità si è cibata bene per secoli senza avere nozione alcuna dei componenti, buoni o cattivi che siano, degli alimenti e, soprattutto, senza avere la minima idea di chi o casa fosse il nutrizionista. Ovviamente queste affermazioni sono delle iperboli ma nascondono un fondo di grandi verità e certezze.

Nel corso dell’evoluzione la componente edonica nei confronti del cibo ha aiutato l’essere umano ad assicurarsi un adeguato apporto alimentare. Se per l’uomo preistorico l’esperienza della nutrizione garantiva la sopravvivenza, attualmente non è più così. Per una buona parte della popolazione globale almeno. Oggigiorno gli esseri umani si trovano davanti a una tale sovrabbondanza di cibo che l’esperienza edonica rischia di diventare addirittura un pericolo per la salute.

In generale l’atto di ingerire alimenti è regolato da una serie di meccanismi dell’organismo, che emettono dei segnali diretti al cervello al fine di indicargli che l’equilibrio energetico, di cui prima era carente, è stato recuperato e tale fenomeno è chiamato “alimentazione omeostatica”. In altri termini, è possibile definire questo fenomeno come quell’alimentazione che risponde alla necessità primaria di preservare l’equilibrio energetico. Ciononostante l’ingestione di alimenti non è motivata esclusivamente dalla necessità di ottenere questo equilibrio energetico, ma la capacità dei cibi di generare piacere induce a mangiare comunque, a prescindere dalla sazietà. Questa è la componente edonica dell’alimentazione che non risponde ai segnali della sazietà. Essa è presente fin dall’inizio del processo, insieme con quella omeostatica.

Illusioni cognitive del piacere gastronomico

Il piacere del cibo è un meccanismo complesso che coinvolge tanti stimoli sensoriali come il gusto, l’olfatto, il tatto e la vista. L’area del cervello maggiormente coinvolta nella rappresentazione cerebrale del valore dei diversi tipi di alimenti, e legata al maggior desiderio di consumo di cibo, è la corteccia orbitofrontale. Quando ci si trova di fronte a un alimento e se questo è gradito, il cervello e soprattutto la parte della corteccia orbitofrontale fa sì che si produca il desiderio di consumarlo, generando un rinforzo positivo. Nel contempo si attiva anche l’amigdala che fa ricordare quanto ci piace quel cibo. Lo stesso, ma in funzione avversa, accade con un cibo non gradito. I prodotti alimentari ad alta palatabilità agiscono come uno stimolo gratificante nel sistema di ricompensa, dovuto all’aumento di dopamina nel nucleus accumbens che induce alla ripetizione dell’azione del comportamento. Oggigiorno le industrie alimentari, mosse dall’obiettivo di vendere il più possibile, lanciano sul mercato prodotti molto gratificanti e pronti per il consumo e quindi sempre più appetitosi e palatabili.

Gran parte del piacere gastronomico è dovuto a illusioni cognitive. Ogni dettaglio apparentemente banale può far cambiare la percezione e la valutazione di un cibo.

Come mai accaduto prima, negli ultimi anni si sta assistendo a una abbondanza inverosimile di trasmissioni di cucina, di ricette, di gare culinarie ma anche di reality, con specifici format lifestyle e makeover. Nella società occidentale contemporanea, dove la maggior parte delle persone è costantemente a dieta, si sta diffondendo una vera e propria ossessione per la cucina, per gli stili alimentari, per le ricette, in generale per tutto ciò che ruota intorno al cibo.

Qual è il posto del food porn in una società neoliberale in cui la responsabilizzazione individuale ha prodotto il discorso sull’anoressia e in cui al venire meno del welfare state il corpo magro e la dieta diventano sinonimi di moralità e buona cittadinanza? Il food porn è il piacere voyeristico del cibo, un edonismo mentale che si nutre del piacere dell’attesa piuttosto che dell’esperienza del godimento. Il proliferare di format di cucina, di gare culinarie o di esperienze alimentari estreme è parte del food porn. Così come il successo di trasmissioni sulla preparazione di dolci ipercalorici – che attraverso il “cake design” diventano opere d’arte – è legato a un edonismo mentale ormai piegato sull’estetizzazione del piacere.

La diffusione del food porn è connessa alla foodie culture, una sottocultura che si costruisce intorno al gusto. Per i foodies, seguaci della foodie culture, lo stile alimentare è parte significativa della propria rappresentazione identitaria.

Le categorie alimentari codificano, e quindi strutturano, gli avvenimenti sociali, mangiare è un’attività rituale e le categorie alimentari costituiscono un sistema di demarcazione sociale: la struttura prevedibile di ogni pasto crea una disciplina che elimina la potenziale confusione. Il pasto è perciò un microcosmo di più ampie strutture sociali e definizioni di barriere: se il cibo è trattato come un codice, il messaggio che esso mette in codice si troverà nello schema di rapporti sociali che vengono espressi. Il messaggio riguarda diversi gradi di gerarchia, inclusione ed esclusione, confini e transizioni attraverso i confini.

Alimentarsi, un patrimonio di conoscenze

Cibo, cultura ed educazione sono manifestazione di una qualità di vita che comunicano la diversità tra gli uomini di ogni cultura, paese, territorio. L’alimentarsi porta con sé uno specifico patrimonio di conoscenze che si è costruito nel corso degli anni e dei secoli e che è trasmesso di generazione in generazione con i racconti degli anziani, con i libri di storia, con i miti e con le pratiche religiose. Le pietanze che mangiamo nel nostro vivere sono strumento di comunicazione, di relazione e di identità. Lo stretto legame tra cibo e famiglia non rappresenta solo una modalità con cui si verifica la trasmissione dei valori, ma è inoltre uno strumento di socializzazione. È con un’educazione alimentare valida che sviluppiamo nei giovani la coscienza della nostra vita nutritiva. Il confronto tra passato e presente è molto importante per sviluppare un corretto legame intergenerazionale.

Per Michael Pollan non bisogna mangiare nulla che una bisnonna non avrebbe mai mangiato. Anche questa, ovviamente, suona come una provocazione, o meglio un invito a soffermarsi di più nella valutazione della reale qualità e provenienza del cibo. Tutto questo perché, nonostante il grande bagaglio scientifico o pseudoscientifico accumulato in anni recenti, ancora non sappiamo cosa effettivamente sia meglio mangiare.

È da ritenere che il cibarsi abbia una funzione che oltrepassa il mantenimento nutritivo, ma diviene un’espressione comportamentale di un vivere culturale e sociale. Ogni atto legato al cibo, anche il più semplice e quotidiano, porta con sé una storia ed esprime una cultura complessa. Nello scegliere ciò che mangiamo subiamo spesso pressioni sociali, culturali e, anche inconsapevolmente, ci facciamo guidare dalla pubblicità. Il modo di nutrirsi è collegato anche alle possibilità economiche sia individuali che del luogo in cui si abita. Per esempio, le ristrettezze economiche che, anche in Italia, stanno interessando sempre più le persone, non hanno provocato una riduzione del cibo assunto, bensì una netta variazione delle abitudini alimentari che sembrano essere decisamente peggiorate a livello qualitativo.

I mali della dieta occidentale

Michael Pollan basa la costruzione delle sue raccomandazioni su due assunti principali: il primo riguarda le persone che seguono la cosiddetta dieta occidentale (molti cibi lavorati, carne, molti grassi e zuccheri aggiunti, molti cereali raffinati, molto di tutto tranne frutta, verdura e cereali integrali). Costoro invariabilmente soffrono di un alto tasso delle cosiddette malattie occidentali: obesità, diabete di tipo 2, disturbi cardiovascolari, cancro; il secondo riguarda le persone che seguono una delle varie diete tradizionali e che, in genere, non soffrono di queste malattie croniche.

Tuttavia, piuttosto che lavorare alle modifiche della dieta occidentale si cerca di individuare quali siano o possano essere le singole sostanze dannose (ossidanti, grassi saturi, carboidrati, glutine, zuccheri aggiunti, e via discorrendo). E tutto questo viene fatto, secondo l’analisi dell’autore, in modo che le industrie alimentari possano apportare solo lievi modifiche ai loro prodotti, lasciando inalterata la dieta nel suo complesso, o in modo che le industrie farmaceutiche possano ideare e smerciare antidoti risolutori. La dieta occidentale è un affare. Più il cibo è lavorato, più diventa lucroso.

Il manuale di Michael Pollan è stato pubblicato per la prima volta nel 2009. Quanta strada è stata fatta da allora? Quanto è realmente aumentata la consapevolezza nei confronti della nutrizione?

In media, il 59% degli adulti e il 28% dei bambini e degli adolescenti in Unione Europea sono in sovrappeso. La maggior parte della popolazione non raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati (150 minuti a settimana). I livelli di coinvolgimento più bassi si registrano in Portogallo, Cipro, Germania, Malta e Italia. L’alimentazione degli europei sta passando a una dieta di tipo occidentale, con un elevato consumo di zucchero e sale, associato a una dieta di scarsa qualità. L’educazione alimentare è obbligatoria nel curriculum nazionale per le scuole primarie e/o secondarie di 18 paesi UE (Austria, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Svezia). In Italia l’educazione alimentare non è obbligatoria.

Ecco perché i libri come Manuale dell’onnivoro, che sono al contempo delle provocazioni e dei moniti, risultano essere assolutamente necessari ancora oggi.

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