“La leggenda dei tre bambini magici e del loro cane santo” di Adam Gidwitz è un racconto di tanti racconti, epico, grottesco, simile ad una raccolta in perfetto stile Decameron, un intrecciarsi di scene medievali, certamente un romanzo d’avventura. Protagonisti tre bambini “magici”. Ecco un’altra puntata della rubrica Area 22 (qui tutte le precedenti), dedicata alla letteratura e alla cultura ebraica
Il libro La leggenda dei tre bambini magici e del loro cane santo (Giuntina edizioni, 353 pagine, 20 euro) di Adam Gidwitz, tradotto da Marina Morpurgo, è la rappresentazione per eccellenza del modo di dire “non giudicare un libro dalla copertina”; non prestando attenzione, infatti, il libro può apparire come una storiella per intrattenere i bambini prima di rimboccargli le coperte per la nanna. Non ci si aspetta, però, che al suo interno vi sia narrata una storia attentamente indirizzata a un pubblico adolescenziale, con descrizioni di elevata sottigliezza; anzi… nessuno penserebbe mai di trovarvi anche elementi macabri che, se da un lato potrebbero impressionare un pubblico troppo infantile, dall’altro, certamente, attirano tanto i ragazzi.
È il racconto di tanti racconti: in una notte del 1242, in una locanda della Francia, si incontrano alcuni viaggiatori, pronti a raccontare la storia più famosa in quei giorni: re Luigi IX ha dichiarato guerra a tre bambini magici: Jeanne, una piccola contadina che ha visioni del futuro; Jacob, un piccolo ebreo che riesce a guarire ferite mortali; William, un giovane oblato saraceno con una forza soprannaturale. Ad accompagnarli c’è una levriera bianca chiamata Gwenforte, magicamente ritornata in vita dal mondo dei morti. Questi tre bambini, apparentemente molto diversi, ma la cui natura umana appare tanto più condivisibile quanto ciò sia favorito dalla loro età, si alleeranno per superare tutte le difficoltà che verranno loro poste davanti e attraversare i territori francesi per portare a termine una missione importante e rischiosa.
Adam Gidwitz è un autore americano appassionato alla storia del medioevo; un insegnante che ama raccontare storie ai suoi alunni e proprio questo particolare ci fa capire come nel libro egli inviti i lettori a spaziare con la propria fantasia, garantendo sempre un po’ di quella suspense fatta di tutti quegli effetti che non si aspetterebbero; quasi come se l’autore immaginasse il suo pubblico nel ruolo di uno spettatore che vive in prima persona la vicenda insieme ai protagonisti, figurandosi lo stato d’animo che può provare e la prossima mossa che potrebbe scegliere di fare. Questa peculiarità – quell’inter nos che crea tanta familiarità tra l’autore e il lettore – rende ancora più chiaro, specialmente ai ragazzi, il messaggio che il libro vuole trasmettere: siamo abituati a vedere sempre l’altro come il diverso, primi fra tutti i “santi”.
Una categoria ancora troppo lontana
I santi, che pure sono persone come noi, sono spesso considerati ancora troppo lontani dal nostro modo di essere, quasi che ciascuno di essi possedesse dei poteri magici, o dei superpoteri, e mai dei “doni”, proprio come i nostri giovani protagonisti; e proprio in questo consiste la diversità (dal latino de + vèrgere: cambiare direzione, essere inclini a un lato piuttosto che a un altro, o più semplicemente controcorrente): renderci speciali attraverso questa santità che, appunto, non è esclusiva di qualcuno in particolare: ognuno di noi, infatti, nella propria vita, sente questa chiamata di Dio alla santità, che non richiede per forza il martirio ma il semplice compimento della sua volontà. E proprio questi tre bambini che, al di là dei loro miracoli odono con chiarezza la voce di Dio, e agiscono di conseguenza, perseguitati per le loro idee e per ciò in cui credono, riescono a combattere l’intolleranza facendo trionfare il senso di umanità che va ben oltre le convinzioni religiose, «come se al di là degli accenti che li dividevano avessero finalmente trovato qualcuno che parlava la loro stessa lingua madre»; e questo tema non potrebbe essere più attuale ai nostri giorni, in cui ho come la sensazione che l’odio e la discriminazione stiano crescendo un po’ troppo.
Un altro fine importante che l’autore vuole ottenere è quello di mostrarci che il medioevo non è un periodo buio come tendenzialmente siamo abituati a immaginarlo ma, al contrario, un periodo straordinariamente dinamico, come la luce! Insomma, un’epoca di riscoperta delle relazioni, durante la quale la gente stava rivedendo il proprio modo di vivere con l’altro; i tre protagonisti, con le loro dinamiche, mostrano proprio questo luminoso atteggiamento.
Ma che razza di genere letterario è?
Dal punto di vista del tipo di racconto, possiamo definirlo un ibrido di tanti generi diversi: racconto epico, a volte grottesco, o più fantasticamente simile ad una raccolta in perfetto stile Decameron, un intrecciarsi di scene medievali, certamente un romanzo d’avventura; insomma, tanti generi ma tutti perfettamente coesi a creare un’avvincente storia capace di far appassionare chiunque la legga.
Anche la scrittura utilizzata è particolare e originale: non si limita, infatti, a raccontare la vicenda in maniera folamente realiftica o fentimentale; effa, talvolta, fi adatta al perfonaggio che ne fa ufo: non vi dirò affolutamente come, ma in un capitolo, ad efempio, il narratore è tipo fdentato e il fuo modo di raccontare viene evidenziato proprio attraverfo le parole che lui ftorpia ogni volta che le pronuncia; ciò rende la lettura più divertente, offrendo al lettore anche il senso dell’udito!
A trasformare in modo ancora più appassionante la lettura è la particolare composizione della struttura dei capitoli, ognuno dei quali corrisponde a ciascun narratore e al suo punto di vista; la molteplicità dei narratori non implica una discontinuità del racconto ma, al contrario, traccia una linea che – oltre a dare verosimiglianza alla storia, proprio perché raccontata in tanti modi, come avviene nella realtà – rende le diverse descrizioni equilibrate proprio perché così diverse l’una dall’altra; una volta finita ciascuna di queste, si fa presente il commento del “narratore principale”, colui che dà inizio a tutta la storia e che non ho dubbi a definire importantissimo; proprio per questo è assolutamente fondamentalmente la lettura della prefazione (che molte volte viene saltata, e anche io lo faccio, lo ammetto…), per capire al meglio il seguito della vicenda e quindi tutta la storia in sé.
Ogni capitolo è breve e compatto, scritto in maniera chiara e mai superficiale… che quando lo finisci vuoi subito continuare con il capitolo dopo, per sapere come andrà a finire!
Una bellissima particolarità sono le miniature presenti, che riprendono proprio il carattere dei manoscritti medioevali. Oltre a tutti i capilettera finemente decorati, nelle pagine a seguire ci si può imbattere in raffigurazioni che rendono più esplicativa l’immaginare della storia. Da leggere assolutamente, poi, è la nota che si incontra nelle primissime pagine, prima che inizi il racconto; lì si spiega la distinzione tra il ruolo dell’autore e quello del miniatore; leggendo la storia mi sono resa conto di quanto fosse importante! E tutte le volte che una miniatura mi colpiva, e allo stesso tempo rischiava di farmi confondere, mi sono ricordata di quelle preziose parole all’inizio del libro. E comunque… miniature stupende! Occorre riconoscere il grande talento di Hatem Aly.
Non tutto è come sembra
L’autenticità che rende questo romanzo diverso e speciale rispetto agli altri – ecco, proprio un romanzo santo! – è che nulla viene dato per scontato e che dietro misteriosi personaggi in realtà si celano caratteri totalmente diversi dall’apparenza che mostrano. Ogni cosa non è mai come la si potrebbe pensare: un senso allegorico pervade la narrazione letterale esattamente come ci sente pervasi dallo stupore; dietro i veli delle apparenze si nascondono tante morali differenti, ciascuna capace di poterci condurre a profonde introspezioni, e questo non può che essere un grande punto di forza del libro!
Nella postfazione è interessantissima la spiegazione dell’autore che svela sia come nasce la sua passione per il medioevo, e quindi la stesura del libro, ma soprattutto quanto c’è di vero e quanto di inventato nella storia, e di conseguenza chi ha ispirato l’autore per la scelta dei personaggi, le ambientazioni e le vicende.
Per concludere, non posso che consigliare questa lettura! Anzi, penso proprio che ogni adolescente dovrebbe avere in regalo questo libro dai propri genitori. Non è passato molto tempo da quando ho finito di leggerlo, ma penso proprio che difficilmente potrò dimenticarmene.