Giorgio Ghiotti, ognuno produce l’infelicità di cui ha bisogno

“Casa che eri”, magnifico romanzo di Giorgio Ghiotti sulla paura dell’addio e della solitudine, racconta una sorta di gelosia e di infedeltà, a partire da un’amicizia speciale, quella fra Aldo e Luisa, messa in crisi dalla relazione della donna con Alessio, che sposerà. Un romanzo colmo di riferimenti colti e di poesia vera…

Dove dormono i colombi quando i bambini non guardano più la gabbia e il nero li inghiotte, è sempre stata una questione, per me, fin da quando mia nonna mi portava in villa.

Non anatre di Central Park, ma colombi a Trastevere. Da quando era poco più che maggiorenne è nell’agone letterario, Giorgio Ghiotti, classe 1994, e ha sempre mantenuto grande coerenza, una raffinatezza linguistica, una purezza stilistica, un rigore e un’onestà che sono merce rara, non solo in ambito editoriale. Circa tre anni dopo le parole accurate dei racconti de Le cattività domestiche (ne abbiamo scritto qui), Giorgio Ghiotti torna con un romanzo compiuto, misurato, che richiede attenzione e concentrazione, riparo dal frastuono, immersione nella poesia vera, un romanzo elegante e profondo, sorprendente (come gli animali usciti fuori da un frigo in copertina), puntellato di riferimenti colti e precisi da parte di chi narra, da Robert Walser a Mercè Rodoreda, da Karen Blixen a Doris Lessing. E in cui attorno ai due-tre protagonisti ci sono altre figure che meriterebbero ciascuna un romanzo intero.

La scelta della casa

Casa che eri (153 pagine, 16 euro), edito da Hacca – marchigiano motore immobile di titoli mai banali – è una storia di speranze e aspettative, affidata alla voce in prima persona di uno scrittore di buon successo, il quarantenne Aldo Lanari, che collabora con un giornale, un autore bollato agli esordi come cantore dell’adolescenza («Pochi hanno capito che il motivo per cui ho insistito su quell’età irredenta è perché nessun’altra è più vicina al fallimento, alla solitudine, alla perdita che è la materia ardente della vita»). È la sua sodale e amica speciale, l’artista Luisa, quasi a scegliere per lui un’abitazione, con vetrate al posto dei muri e annesso un giardino cinese. E l’appartamento diventa un luogo dell’anima.

Restammo per un po’ a scrutarci, e io avevo solo due occhi e la mia casa mille, di più, centomila.
Ci addormentammo come due nemici.

Spaesamenti, smarrimenti

Il grande idillio senza definizioni precise, fatto di complicità e vicinanza, fra l’omosessuale Aldo e Luisa sarà messo in crisi da un uomo, Alessio Patriarca («detestato e invidiato»), con cui Luisa pensa di fare «una cosa folle», sposarsi, scivolando verso uno «stato d’inerzia», una vita precisa («La borghesia rappresentava per noi la massima ambizione e la massima condanna»), irrisa, invisa ai due amici.

Erano l’immagine esatta della felicità prima che la felicità se ne vada altrove, perché i giorni felici sono brevi e confusi, a fuoco giusto il tempo di una fotografia, e poi di nuovo sfocati e lontanissimi ma memorabili in noi e inalterati come diamanti.

Quel che Giorgio Ghiotti – chiarissima la lezione del Novecento – mette in scena in Casa che eri (candidato al premio Strega da Giulia Caminito) è una simbiosi spezzata, la solitudine, e poi una specie di infedeltà (anche a noi stessi), oltre a una specie di gelosia e di paura dell’addio, e a una spietata certezza: «Ognuno produce tutta l’infelicità di cui ha bisogno». Passaggi, spaesamenti, sospensioni, smarrimenti che molti, tutti, hanno attraversato e che l’autore interpreta e restituisce magnificamente.

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