Stéphanie Hochet, specchiarsi nello Shakespeare nascosto

Gli anni più misteriosi di William Shakespeare, quelli in cui lasciò la moglie e tre figli piccoli, per inseguire la fortuna e i suoi sogni di gloria in teatro, sono al centro di “William”, romanzo di Stéphanie Hochet, in cui l’autrice francese fa i conti anche con la propria famiglia di origine, in un parallelo con le vicende e le decisioni del Bardo

Ha smesso da tempo di essere “solo” una grande amica di Amélie Nothomb, che si è ispirata a lei per scrivere il romanzo Pètronille, cammina da sé: la parigina Stéphanie Hochet ha ormai pubblicato un buon numero di volumi (abbiamo scritto qui de Il testamento dell’uro) anche in Italia, dove ha trovato il suo pubblico di lettori. La platea potrà decisamente allargarsi con l’ultimo arrivato, pubblicato ancora da Voland, con la traduzione di Roberto Lana, di felice efficacia.

Apprendistato alla vita e al teatro

Il titolo è William (143 pagine, 18 euro) e appartiene alla schiera di opere ispirate alla vita di Shakespeare, la letteratura fatta uomo, da secoli. È la storia di un giovane audace e ambizioso, disposto a lasciare la propria famiglia, moglie e tre pargoli, felice di allontanarsi dal piccolo mondo antico che gli sta stretto, per trovare la propria strada, il proprio posto nel mondo. Poco più di un ragazzo, un ragazzo come tanti? Non si direbbe. E Stéphanie Hochet si diverte a immaginare la sua vita negli anni più oscuri della sua esistenza leggendaria – per la risonanza e l’incidenza che ha avuto nella civiltà letteraria, e per l’incertezza e il mistero che aleggia attorno a essa – provando a fare qualche parallelo con la propria esistenza. In William si raccontano sette anni di apprendistato alla vita e al teatro, la fuga oltre la stabilità coniugale e la prospettiva di diventare un buon borghese. Va via da Stratford-upon-Avon nel 1585, ha appena 21 anni ed è proprio nessuno, il figlio di un guantaio, poi giudice di pace e politico, finito in mezzo ad affari loschi, un figlio che non ha voluto seguire le orme paterne.

William aveva intuito e poi scoperto le attività illegali del padre, ma aveva mantenuto il segreto. Sotto il suo tetto regnava il terrore. Non poteva concepire che i figli facessero scelte diverse dalle sue.

La storia personale di Stéphanie Hochet è segnata da una parabola simile, ci sono affinità, lascia intuire l’autrice, un destino di evasioni e fughe, a cominciare dalla lettura: «Non ho avuto altra scelta che abbandonare i miei per vivere… i membri della mia famiglia non accettavano che i figli potessero scegliere un destino diverso dal loro». E ancora, nella sua famiglia c’è spazio per torbidi episodi, ombre che coinvolgono uno zio e un cugino…

Sentimenti, incontri, sfide alle convenzioni

William è un racconto di sentimenti totali ed eccessivi, di aspirazioni e conflitti generazionali, di incontri straordinari per l’aspirante attore (quello con Christopher Marlowe, quello con Richard Burbage), che prima si aggrega a una compagnia itinerante, poi giunge a Londra, dove getterà le basi della sua attività di drammaturgo. La sua nuova famiglia è la compagnia teatrale, tra interminabili conversazioni, atteggiamenti licenziosi, ipotesi di personaggi che diventeranno eterni nelle sue opere, tra l’ebbrezza di recitare, desideri e ambiguità di genere, sia per leggerezza di fondo che per sfida alle convenzioni. Questa variazione sul tema della vita e del peso specifico del Bardo nella vita di Stéphanie Hochet (e un po’ in quella di tutti noi) finisce per essere un gioiello di fiction narrativa e di verità interiore (e catartica per l’autrice francese). Un libro vero, un esperimento più che riuscito.

Seguici su InstagramTelegramWhatsAppThreadsYouTube Facebook e X. Grazie

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *