I libri come incontri, tra classici e contemporanei. Alessandro Campaiola, direttore editoriale di Mar dei Sargassi edizioni, sciorina sette titoli, alcuni dei quali nei cuori di molti, e li racconta a modo suo, dal primo all’ultimo, che è un incontro con un amico e un’occasione per coltivare il mestiere che ha scelto. Un’altra puntata della nostra rubrica più amata (qui tutte le puntate precedenti)
Conoscere le letture di una persona equivale a scrutargli dentro. Alle pagine che hanno abitato il mio comodino ho spesso affidato la comprensione ciò che sono o, incombenza ben più crudele, ciò che avrei potuto o voluto diventare.
Quello dei miei sette libri è un racconto di incontri. Il primo, ad appena diciassette anni, con la letteratura americana del Novecento, con J.D. Salinger e Il giovane Holden, il romanzo che dava finalmente nome e forma a tutto quanto si agitava dentro di me e che non governavo. Il secondo, con Fabio Stassi, che per anni si è preso cura dei testi che avrebbero guidato il mio percorso attraverso la letteratura e, più in generale, un certo modo di stare al mondo. Tra i suoi consigli anche Borgo Vecchio di Giosuè Calaciura. Da quel momento, le porte dell’editoria contemporanea – diventata poi il mio lavoro – si sono spalancate alla mia curiosità: capire il mercato, cosa si pubblica oggi e perché, intercettare le vibrazioni e le voci delle nuove generazioni.
E poi l’ultimo, l’incontro di cui sono più grato. Ma questo ve lo lascio scoprire, proprio come il finale di un buon libro…
“Il giovane Holden” di J.D.Salinger (Einaudi), traduzione di Matteo Colombo
Il giovane Holden è il libro che ha cambiato tutto, a cominciare dal mio approccio alla lettura. Romanzo fortemente introspettivo, capace di scavare nel profondo, un invito alla ribellione alle regole pre-confezionate del mondo occidentale, la consapevolezza di non poter cambiare lo stato di cose e la tenacia a credere nell’innocenza.
Holden Caulfield, 16 anni, viene espulso da scuola, vaga per New York per alcuni giorni, cercando un senso nel mondo adulto che considera ipocrita. Durante il suo viaggio, tra incontri fugaci e riflessioni profonde, affronta la solitudine, la paura di crescere e il desiderio di proteggere la purezza dell’infanzia.
“È finito il nostro carnevale” di Fabio Stassi (Minimum Fax)
Come dice Fabio, il suo cognome è un congiuntivo sbagliato, eppure, pochi maneggiano la parola come l’autore siciliano (perché è vero che nasce e vive a Roma, ma si cresce in una lingua, e la sua è quella dell’isola). Rivoluzione, ribellione, ma anche tanta, tantissima nostalgia. Un inno alla passione autentica. Rigoberto – il protagonista – è un cronista sportivo e tenta di rubare il trofeo del campionato del mondo di calcio, rincorrendolo in ogni continente tra guerre, rivoluzioni e traversate atlantiche, «per togliere le utopie dalle teche e ridargli il significato che avevano perduto».
“Borgo Vecchio” di Giosuè Calaciura (Sellerio)
A proposito di Sicilia, Giosuè Calaciura – come diceva Camilleri – è una delle autentiche ricchezze dell’isola e “Borgo Vecchio” è il suo capolavoro. Un viaggio nella Palermo più nascosta, tra poveri e disgraziati, dove la resistenza si fa magia sulla penna lirica e barocca di Giosuè, degno erede di quella scuola che annovera esponenti come Sciascia, Bufalino, Consolo.
“Alta fedeltà” di Nick Hornby (Guanda), traduzione di Laura Noulian
Alzi la mano chi non ha stilato, almeno una volta nella vita, la classifica dei cinque dischi più belli mai ascoltati, dei migliori libri mai letti, perfino delle fidanzate più amate. Per lungo tempo, “Alta fedeltà” è stato il libro che meglio ha descritto la mia giovinezza. Il rapporto complicato con l’amore, la necessità di cercarsi nell’espressione autentica dell’arte, nel caso del protagonista la musica, nel mio i libri. Un gioiello di ironia malinconica di quello che è forse il miglior scrittore britannico contemporaneo.
“L’amica geniale” di Elena Ferrante (e/o)
Il NYT lo ha definito il libro più bello del secolo e non si fatica a capire il perché. Elena Ferrante, come tutti i grandi di cui ricordiamo l’opera, di cui studiamo sui libri e scriveremo all’esame di maturità, ha cambiato le regole del gioco a cui appartiene: la letteratura. La sua lingua è straordinaria, suona di Napoli senza adoperare mai il dialetto e, soprattutto, descrive – come pochi altri – una città al di fuori dei binomi Gomorra – lungomare Caracciolo / camorra – odore del caffè. Nessuno racconta il capoluogo campano e la sua gente come l’autrice più venduta d’Italia.
“Tre camere a Manhattan” di Georges Simenon (Adelphi), traduzione di Laura Frausin Guarino
Quando leggo un libro che fatico a concludere, penso spesso: per fortuna c’è Simenon. La sua straordinaria produzione – eccellente in ogni sua opera – consente di rifugiarsi nella sua letteratura ogni volta che si avverte bisogno di rinvigorire l’amore per la pagina scritta. “Tre camere a Manhattan” è il libro che preferisco della sua immensa produzione, e racconta una comunissima ma per questo complicata relazione tra persone ormai adulte. Solo i giganti scrivono così di ciò che potrebbe accadere un giorno qualunque, ad ognuno di noi.
“Mondo cane” di Francesco Recami (Mar dei Sargassi)
E a proposito di giganti e fotografi della realtà, Francesco Recami è l’autore che meglio ritrae i luoghi comuni, le ossessioni e la mediocrità insisti dell’essere umano. In Mondo cane, Recami dimostra come anche un contesto cittadino, borghese (in questo caso la Firenze contemporanea) può essere escludente rispetto ad alcune categorie di persone: poveri, disperati, straccioni, anziani. Un gioiello che l’autore noto ai più per la sua serie “La casa di ringhiera” ha regalato alla mia casa editrice, un gesto speciale di quello che è innanzitutto un grande amico, un punto di riferimento, una fonte di ispirazione, una luce.
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