Sbaraglia, come Dante illumina i cuori confusi degli studenti

Emiliano Sbaraglia rinverdisce la tradizione degli insegnanti scrittori con “Leggere Dante a Tor Bella Monaca”, romanzo in cui si intrecciano osservazioni e suggerimenti per il sistema d’istruzione del futuro. Un professore e basta, non un visionario non un missionario, e una terza classe della scuola secondaria inferiore di un quartiere difficile di Roma danno vita a un’avventura umana e didattica esaltante. Merito della Divina Commedia, contro la cosiddetta scuola del merito, che spesso è una corsa truccata…

Sciascia e Caproni, Starnone e Lodoli, Ardone e Mastrocola, Albinati e D’Avenia, Veladiano e Ambrosecchio, Raimo e Conoscenti, Auci e Ferraris, Onofri e Levantino, Pennac e McCourt, Vonnegut e Orwell, Frost e King. È una non esaustiva filastrocca di insegnanti, poi saliti agli onori della cronaca letteraria come scrittori, in passato, come nel presente. Categoria vasta, in Italia e all’estero, categoria all’interno della quale si può annoverare Emiliano Sbaraglia che, in saggi e reportage, si è occupato (anche) di scuola e che adesso ha deciso di trasformare in materia romanzesca la sua esperienza professionale. Il grimaldello per entrare nel cuore dei suoi studenti, di uno dei quartieri più difficili della capitale, e aprire la loro mente? Un certo Dante Alighieri…

I guai delle periferie

Non pensa semplicemente alla didattica, il protagonista del romanzo di Emiliano Sbaraglia. Ci sono emergenze più immediate: la dispersione scolastica e gli inferni quotidiani, specie in ambito familiare, vissuti da alcuni dei ragazzi: ai suoi alunni del terzo anno di secondaria inferiore il prof chiede un linguaggio consono e rispetto per tutti i compagni, chiede prima di tutto attenzione e fiducia ed è chiaro che è pronto a restituirne altrettante, anche di più. Leggere Dante a Tor Bella Monaca (144 pagine, 17 euro), edito da e/o, racconta la scuola delle periferie, ragazzi e ragazze alle prese con droga, violenze, assenza di adulti di riferimento (alcuni genitori in prigione…) e, in generale, situazioni al limite. Racconta storie, intrecciando osservazioni, avanzando implicitamente suggerimenti per la scuola del presente e del futuro. È anche ai ragazzi del presente e del futuro che Dante “parla”, con un’idea del genere l’insegnante prova a fare breccia nei cuori confusi, distratti, impauriti della sua classe. Non è un processo immediato, né semplice, ci sono errori, marce indietro, riformulazioni. Però è un passaggio obbligato per un sano ritorno alla scuola che non sia semplice e asettica burocrazia.

L’aggiornamento di un professore è ormai indirizzato verso la formazione di un corpo docente che badi quasi esclusivamente al raggiungimento di competenze certificate, seguendo corsi su piattaforme ministeriali dai nomi improbabili, quasi sempre del tutto inutili.
Quando invece decidi di puntare su Dante è come se ti sentissi autorizzato a formarti e aggiornarti diversamente, alla vecchia maniera, tornando a prendere in mano i libri, a leggerli sottolineando con la matita alcuni passaggi, delle frasi che poi, una volta in classe, possano fornire lo spunto giusto per impostare una lezione fuori dal consueto.

E pazienza se…

A guardare la scuola da questo osservatorio speciale, dal punto di vista del libro di Emiliano Sbaraglia (che non è quello retorico del docente di frontiera, dell’insegnante missionario ma dell’insegnante e basta), c’è di che coltivare ottimismo. Gli studenti di oggi, iperconnessi, svogliati, ma anche curiosi, vanno conquistati passo dopo passo, con pazienza, costanza, coerenza. Anche Dante può essere utile, se si piega un po’ al loro modo di pensare e vedere il mondo, o se si fa comprendere che “parafrasi” non è una parolaccia. E pazienza se per introdurre il conflitto tra guelfi e ghibellini bisogna fare ricorso al derby calcistico romano, a fazioni giallorosse e biancocelesti, o se può servire anche invitare un rapper in classe. E pazienza se in tanti (anche alcuni genitori) pensano solo alle prove Invalsi e che “andare per la selva oscura” possa essere controproducente per il rendimento generale, una distrazione in vista delle prove ufficiali, dei passaggi chiave dell’anno scolastico. Eppure Dante – aggiunto al programma ministeriale – entra nelle vite dei giovani allievi del prof che si esprimono principalmente in romanesco (da Samuel a Danilo, da Beatrice a Kevin, a Giovanna, a Nicolas), con tanto di uscita didattica “poco ortodossa” a Firenze, la città di nascita di Dante, poco prima della fine dell’anno scolastico. I progressi umani sono preponderanti, rispetto a quelli relativi alla preparazione. E l’anima sociale, alla fine, è quella che prevale in questo romanzo divertente, amaro, pedagogico di Emiliano Sbaraglia, che si scaglia contro la cosiddetta scuola del merito, una corsa truccata fra chi ha possibilità molto diverse in partenza.

Se c’è una cosa sulla quale abbiamo lavorato bene in questi tre anni, anche perché c’era terreno fertile, è il fatto di fregarsene del risultato, dell’obiettivo. Del voto. Un voto vale l’altro, l’importante è il conoscere il più possibile per conoscere ancora e meglio, anche perché il voto può dipendere da vari fattori, compreso l’umore del professore; la conoscenza invece riguarda noi stessi, e nessun altro. Concetto difficile da spiegare e altrettanto da attuare, in una società nella quale la meritocrazia è ormai l’unica via. Il che potrebbe anche andar bene se fosse vera meritocrazia, e comprendesse oltre alla prestazione anche una minima valutazione umana del candidato di turno. Ma la meritocrazia si è ben presto rivelata una corsa riservata ai cavalli nutriti meglio…

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