Prima persona plurale, Pietro Grossi e vite che sono le nostre

“Qualcuno di noi” di Pietro Grossi è è un ambizioso e riuscito romanzo autobiografico in cui l’io della voce narrante si moltiplica in un noi: una vita attraversata dal benessere, dal dolore, dagli eccessi, dalla violenza, dal successo editoriale e da due ancore di salvezza, la scrittura e l’amore. Tante vite in una, e immedesimarsi sembra difficile, ma non lo è… 

Sorprende non vedere Pietro Grossi neanche nella maxi-lista dei segnalati allo Strega, dove è presente chiunque; d’accordo, le candidature sono tecnicamente decise dai singoli Amici della domenica, ma sembra strano che Segrate non abbia voluto puntare su un romanzo così bello e importante per tentare di tornare alla vittoria al Ninfeo, che per Mondadori, un tempo asso pigliatutto, manca dal 2012, quando vinse Piperno (anche se tecnicamente, da allora, sei titoli del gruppo Mondadori, cinque Einaudi e uno Rizzoli, hanno comunque trionfato). O forse non deve sorprendere l’assenza di Qualcuno di noi (517 pagine, 22 euro), che è un romanzo più grande di qualsiasi riconoscimento italiano, il nuovo volume di, almeno per chi scrive, un amico ritrovato. Sì perché dopo i folgoranti primi libri per Sellerio, Pietro Grossi si era forse confermato, ma aveva smesso di fare passi da gigante e di svettare – eccezion fatta per il feltrinelliano Il passaggio – e aveva registrato almeno un grosso passaggio a vuoto, Orrore (a suo tempo bacchettato con i suoi modi spicci qui, anche dal nostro Mamurio L).

Prove

Invece Qualcuno di noi è un’opera ambiziosa, riuscita e formidabile, uno dei libri più importanti letti da molto tempo a questa parte, che si apre con l’«autunno dei nostri nove anni» e si conclude con un matrimonio. In mezzo una vita, decisamente quella dell’autore, ma interpretata non come uno, né come nessuno, ma come centomila, una pluralità espressa con la prima persona plurale per centinaia e centinaia di pagine, un espediente che solo inizialmente può sembrare stucchevole, ma che ben presto si fa centrale, specie nelle prime “prove” della vita, il rischio concreto di diventare un omicida al termine di una scazzottata estrema, la sorpresa di sopravvivere a qualche eccesso di troppo, a colpi di testa di giornate troppo veloci, o vuote, o incasinate, in cui comunque si fanno i conti col male, col dolore, con la violenza. È stato un bambino dedito a piccole e grandi menzogne, poi un ragazzo di famiglia agiata, dai frequenti sbalzi emotivi, dalla fervida immaginazione e dalla grande curiosità, che cerca di attirare attenzione, questo “noi” di tanti “io”, con cui la voce narrante intrattiene anche dialoghi serrati. Vivaci e densi sono gli episodi che si susseguono e pari al sentimento della letteratura c’è solo quello dell’amore, vissuto intensamente, anche se può volatilizzarsi.

… di nuovo ci sbigottì la rapidità dell’amore: la frazione di secondo in cui esplodeva, e in cui adesso, ancora una volta, si dissolveva.

Pubblicare, a Palermo

Le vite di questo noi – non importa quanto siano distanti per tenore di vita, spostamenti, idee e comportamenti – per curiosità e inquietudine potrebbero essere quelle di chiunque, anche le nostre. La vita carica di opportunità e imprevedibilità catapulta il protagonista (e le sue persone) in giro, all’estero (ad esempio a New York prima, durante e dopo il maledetto 11 settembre 2001, tra spleen e sbronze, amplessi a pagamento e cortometraggi girati), ma è a casa che vive, questo noi di Pietro Grossi, l’ennesima svolta, grazie a Enzo (Siciliano) – «il più grande e deluso amante della letteratura» – che decide di pubblicare un suo, o un loro, primo libretto, incoraggiando a coltivare la scrittura: «Ci aveva detto di fare attenzione, bisognava andare avanti, il talento rischiava di marcire».

Di rado la vita aveva accostato due persone tanto diverse: la sua nave era carica di accademici e studiosi, la nostra di teppe e vagabondi. Forse era per questo che ci eravamo rimasti tanto simpatici.

Quello scelto da Siciliano sarà il primo titolo di una serie (e ci saranno presto riconoscimenti e corteggiamenti da parte di grandi editori), a cui daranno uno slancio decisivo una madre e un figlio, alchimisti e lavoratori del libro in Sicilia, Elvira e il figlio Antonio Sellerio (qui una sua intervista), ed è piuttosto singolare vedere il riservato Antonio Sellerio – prima gioviale, seducente, dopo duro e giustamente critico – finire addirittura dentro un libro come personaggio, ma tant’è. C’è dentro anche la loro città, quella di un miracolo editoriale, che seduce il “noi”: «Sembrava raccontare qualcosa di noi stessi, Palermo, o del nostro Paese, forse dell’intero genere umano. Anche lei sembrava una gigantesca e stramba nave». È l’inizio di un successo e di tanti rovesci della medaglia, non sempre piacevoli.

Precipizi e limiti

La scrittura è forse l’unico porto sicuro di un’esistenza cosmopolita e senza pace, in cui scansare precipizi e mettere alla prova i propri limiti è l’attività principale; la scrittura è il solo posto al mondo in cui il noi di Pietro Grossi riesce a ripararsi dallo dalla vita, dai suoi pericoli, dai suoi inganni. È nella scrittura che è possibile indagarsi, provando a comprendere errori, contraddizioni, passioni, turbolenze, è nelle pagine che si può provare a fare i conti con le proprie molteplici personalità, col le diverse nature che albergano in un individuo, a dare forma al caos che è la vita, è nella scrittura che si può cercare di affrontare l’età adulta con un piglio autentico e maturo, che metta da parte quello eroicomico della gioventù, il non romanzo di formazione che è buona parte del libro. È una luce al pari dell’amore, quello che non si volatilizza, quelle che non cede alle prime difficoltà, quello che ha dentro di sé la forza per rinnovarsi ogni volta e portare frutto. Quello che magari serve a combattere un male oscuro che appare a una quarantina di pagine dalla fine.

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