Una madre passiva e sottomessa, rassegnata a fare da sfondo alla vita familiare. Un padre arrogante e dominante dal punto di vista psico-fisico. Dinamiche ed episodi di una famiglia (quella dell’autore?) avvelenata dal patriarcato, da cui allontanarsi, per festeggiare questa distanza dieci anni dopo. Con “L’anniversario” Andrea Bajani scatena un ruggito interiore, specie nelle lettrici…
Ci sono tre prospettive attraverso le quali leggere e analizzare L’anniversario (128 pagine, 16 euro) di Andrea Bajani, Feltrinelli editore, tra i candidati (e i favoriti) al Premio Strega 2025.
L’addio alla famiglia d’origine
La prima è quella della vicenda narrata, perché questo è (anche) un romanzo di trama che si inserisce se non proprio in un filone, per lo meno, nella prosecuzione di una tendenza degli ultimi anni: quella di narrare le proprie madri, soprattutto quelle improbabili e, diremmo, quasi impresentabili, alla maniera di Franchini ne il Fuoco che ti porti dentro (ne abbiamo scritto qui e qui), romanzo pubblicato lo scorso anno che, proprio per l’onestà e l’attrito provocato alla lettura, ha convinto, commosso e appassionato lettori e critica.
Ne L’anniversario, Bajani ci racconta, a ritroso, gli anni e i tormenti, le violenze fisiche e psicologiche, assistite oppure vissute, il disagio, le grida e i silenzi che lo hanno portato, in un passato relativamente recente di cui celebra il decennale, a rompere definitivamente ogni rapporto con la propria famiglia d’origine e a celebrarne, appunto, attraverso la scrittura e lo spazio narrativo del romanzo il triste anniversario.
L’anniversario rappresenta dunque la celebrazione narrativa della propria liberazione ed emancipazione non tanto (e non solo) da una famiglia disfunzionale, quanto piuttosto da un padre (e, innanzitutto, un marito) orco e padrone, al centro della quale spicca la figura della madre, una donna quasi invisibile e del tutto remissiva per nascita e condizione familiare e, in un certo senso di conseguenza, per accettazione.
Una prima persona distante
La seconda prospettiva dalla quale guardare questo romanzo è quella stilistico-narrativa che ci accoglie e colpisce fin dalle prime righe. Bajani sembra idealmente proseguire, almeno all’inizio di questo romanzo di poco più di un centinaio di pagine, la voce (o io narrante e narrato) e la stessa distanza dalla materia narrativa de Il libro delle case, sempre Feltrinelli, 2021, anch’esso tra i candidati alla finale del Premio Strega dello stesso anno. Una voce in prima persona, dunque, che pone però una certa distanza, che potremmo definire scientifica e asettica, tra sé, ciò che narra e il piano narrativo, anche se appartiene al vissuto e alla memoria personale dell’autore. Anzi proprio per questo Bajani sceglie e colloca la voce narrante oltre il vetro del microscopio e ce ne fa ascoltare i pensieri, i ricordi, le impressioni e emozioni, così come ci fa sentire, descrivendole e narrandole, le operazioni — vere e proprie vivisezioni — che, grazie alla scrittura e al romanzo, essa riesce a compiere sulla materia viva e bruciante dei propri ricordi e rimossi familiari.
Il piano metanarrativo del romanzo guida e consente al lettore di cogliere la messa a fuoco che a posteriori l’autore riesce a fare delle espressioni per lo più inespressive (scusate il bisticcio) della madre e, attraverso queste, è in grado di percepire quanto ella fosse votata, e rassegnata, a fare da sfondo alla vita familiare, quasi fosse parte dell’arredo e della tappezzeria di casa.
Bajani, bisturi in mano, è implacabile nell’analizzare e vivisezionare questa donna, sua madre, rigidamente ancorata alla propria passività e sottomissione nei confronti di un marito e padre padrone, arrogante e dominante, non solo sul piano psicologico, ma anche e soprattutto su quello fisico. Tuttavia, una volta posti in essere e mostrati gli strumenti di analisi dello scrittore—scienziato (di matrice positivista e naturalista), a differenza di quanto avveniva ne Il libro delle case, ne L’anniversario Bajani sembra scordarsene e volutamente metterli in penombra, per addentrarsi nella vicenda e, soprattutto, proseguire l’intervento di vivisezione, tornando solo con brevi cenni a mostrarci come e con quali attrezzi stia operando.
A lettura finita, si può senza dubbio concludere che l’esperimento narrativo che soggiace all’impianto del romanzo è pienamente riuscito, in quanto per l’intera durata della narrazione Bajani riesce a ricordarci, al tempo stesso, che lui ne è lo scrittore, ma non ha alcuna importanza se sta lavorando su materiale umano a lui molto vicino, ché proveniente dai suoi stessi vissuti e ricordi (alcuni così sfocati, che solo grazie all’esercizio della scrittura riesce a isolarne e recuperarne dei particolari o ad avanzare delle congetture in merito).
Quelle donne inesistenti e infelici
La terza prospettiva è quella del lettore, e soprattutto della lettrice (ci scusino i Signori lettori maschi, non si sentano arbitrariamente e ingiustamente esclusi), mentre legge e vede davanti a sé questa donna dimessa, passiva e remissiva, totalmente rassegnata a essere e restare sullo sfondo non solo della vita familiare, ma anche e innanzitutto sullo sfondo e nell’ombra della propria stessa vita.
Bajani non fa sconti a nessuno, non edulcora né esaspera la drammatizzazione di nulla, riporta scientificamente e asetticamente le figure, i ruoli, le dinamiche e gli episodi più ispidi e violenti della propria storia familiare, tuttavia, e proprio per questo, lo scenario desolante in cui è vissuto ed è vissuta la madre è talmente bruciante e urticante che scuote e in un certo senso “irrita” profondamente proprio i lettori di genere femminile, che rivedono in lei tante altre donne e mamme terribilmente votate all’inesistenza e dunque all’infelicità, conosciute intimamente o incontrate per caso nella realtà quotidiana.
Il ruggito interiore che la lettura de L’anniversario provoca nella coscienza e consapevolezza femminili, valgono (al di là dei generi) il libro.
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