“La morte della cultura di massa” di Vanni Codeluppi analizza successo, involuzione e crisi di quei prodotti che costituiscono l’essenza della cultura di massa. È molto lontana la loro grande diffusione che risale agli anni Sessanta e Settanta…
Agile e tascabile, “La morte della cultura di massa” (116 pagine, 13 euro) di Vanni Codeluppi, edito da Carocci, si presenta come una lettura discretamente interessante su quello che è considerato il tramonto della cultura di massa, la cui genesi è da ricercarsi nel processo di industrializzazione avviatosi nella seconda metà del Novecento. Dopo una larga diffusione, soprattutto durante i decenni Sessanta e Settanta del secolo scorso, nei quali si è consolidata una massificazione concettuale che ha contribuito, in qualche modo, a legare tra loro gli individui livellandoli, oggi, come spiega l’autore del libro, si sta assistendo, al contrario, ad una profonda disgregazione e crisi di quei prodotti che costituiscono l’essenza stessa della cultura di massa.
Giovani soli
Ripercorrendo i grandi cambiamenti apportati dalle nuove tecnologie e dall’avvento dei social – che hanno creato una realtà sempre più artefatta e alienante – il sociologo ci racconta una società dove le persone, ma soprattutto i giovani, appaiono decisamente più sole, private delle basilari competenze culturali, incapaci di distinguere i fatti dalle opinioni.
Scenario desolante
Uno scenario desolante, a cui ha contribuito massicciamente un sistema che ha smantellato l’istruzione pubblica, l’informazione libera e le istituzioni culturali, al quale ci si può ovviamente opporre, cercando di modificare lo stato delle cose, ri-orientandolo. In finale, si tratta di un saggio non particolarmente approfondito, dove numerosi vuoti d’aria fanno cadere in picchiata il piacere della lettura, ma che comunque contiene in sé alcune analisi interessanti, in grado di stimolare la riflessione.
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