Romanzo storico e corale, “I figli dell’istante” di Edoardo Albinati incarna gli anni Ottanta del secolo scorso in Italia, andando oltre i cliché di disimpegno ed edonismo. Libro impeccabile e rutilante, che chiude la trilogia “Amore e ragione”, ed è l’ennesima sfida vinta dall’autore, già premio Strega…
Non si può dire che si sia adagiato al riparo dello status di venerato maestro. Non si può dire che Edoardo Albinati, nonostante la lunga gestazione (dieci anni in cui fecero irruzione nella sua vita anche psicofarmaci e depressione) de La scuola cattolica – il fluviale romanzo con cui ha ottenuto il premio Strega – abbia snobbato l’ennesima sfida letteraria della sua vita. Il frutto è un altro lungo romanzo, che dimostra come abbia vinto la nuova sfida colma di ambizioni, un libro che pesca nelle atmosfere di una quarantina d’anni fa, per sussurrarci forse anche qualcosa a proposito dell’oggi. La nuova fatica di Edoardo Albinati è un romanzo impeccabile, difficilmente riassumibile, in termini di trama. Certamente si tratta di un romanzo storico, ambientato nei primi anni Ottanta, che non si adegua a certa vulgata su quel periodo, ma offre una chiave di lettura più articolata e sfaccettata.
Due amici
… è incurabile la vita, pare che l’unico modo di guarirla sia sopprimerla.
I figli dell’istante (683 pagine, 23 euro), pubblicato dalla casa editrice Rizzoli, pur essendo un libro autonomo e autoconcluso, è considerato dal suo stesso autore il finale di una trilogia, Amore e ragione, avviata con Cuori fanatici nel 2019, e continuata con Desideri deviati del 2020; alcuni dei personaggi di quei due libri, a cominciare dagli amici Nanni Zingone e Nico Quell (che parte militare e diventa «lo scrivano dei commilitoni, quando si trattava di mandare una lettera sospirosa alle fidanzate lontane era lui a provvedere»), sono confluiti in questo vasto, caleidoscopico, epilogo, un romanzo corale che appaga al tempo stesso la fame di storie e quella di riflessioni, in cui il lettore può lasciarsi trascinare e può ripiegarsi in se stesso. L’andamento della prosa è, come spesso accade nelle opere di Albinati, avvolgente senza che la sua scrittura possa mai apparire standard o pesante da sostenere. Una volta che si inizia è davvero impossibile mollare la presa, anche nelle giornate più caotiche troverete un momento per tornare alla lettura di questa rutilante epopea.
Lo Stivale
Ne I figli dell’istante ci si imbatte nella vita, in genitori e figli, coppie da sogno e coppie improponibili, uomini sposati, innamorati di altre donne, amicizie che a tutto o quasi a tutto resistono. Moti credono che quel tempo, gli anni Ottanta dello Stivale (come viene ripetutamente chiamata l’Italia, specie nelle prime pagine), che magari adesso ci appaiono lontani e sospesi, siano stati semplicemente il trionfo dell’edonismo, l’esaltazione del disimpegno, del carpe diem; sotto le paillettes, però, sembra suggerirci questo romanzo di Edoardo Albinati, c’è anche tanta umanità, ci sono ambiguità, incoerenze, contrapposizioni, sconfitte, felicità, sentimenti accesi, vite tutt’altro che trascurabili o insignificanti, passioni e moti interiori, ben oltre le apparenze. Scorrono in queste pagine entusiasmi e speranze, rimpianti e illusioni.
Senza tregua
Non ha chiaramente scritto per sottrazione, l’autore romano. Prova ne sono le due pagine conclusive del romanzo con altrettanti fitti reticoli di personaggi (oltre ai principali ce ne sono di riuscitissimi – a cominciare da Coboldo, colto, arguto, ma non esattamente un adone – con i suoi sogni d’amore) che danno la misura della complessità dell’architettura del volume. E questo castello di carta è stato farcito di tante golosità amate da molti di noi lettori. In questi ultimi anni siamo stati condannati a mille e mille autofiction che ci sono state rifilate e inflitte. E, invece, abbiamo agognato qualcosa come quello che Edoardo Albinati sa fare, romanzi, in cui naturalmente si può anche intravedere l’io dell’autore, ma senza andare oltre… Vivere senza tregua, dissipando e dissipandosi, se necessario. Questo fanno molte delle figure super caratterizzate che affollano il volume: ci sta che a un certo punto si possa fare confusione con i tanti personaggi che si palesano. Ma è solo un attimo. L’autore tiene le fila benissimo e il risultato è un’opera che ha un impatto totalizzante su chi la legge. È facile ripensare a come eravamo, guardarsi intorno e ritrovare qualcosa in quel che siamo.
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