Calvino nel mondo arabofono, snodi da mondi (non) lontani

La leggerezza di Italo Calvino non è uno slogan ma l’esito di profonde riflessioni sulla purezza del linguaggio. È uno degli spunti di un volume collettivo, “Calvino a Tunisi”, a cura di Chiara Comito, che raccoglie tanti contributi, in particolare di scrittori tunisini contemporanei, ma anche di un critico come Silvio Perrella. La potenza del pensiero calviniano? Offre spunti universali, superando qualsiasi barriera culturale

Tutti parlano della leggerezza calviniana neanche fosse un meccanismo testuale pronto da svendere e riapplicare sui testi per dare loro una patina più letteraria. Peccato che quasi sempre di vero, nell’approccio e nell’interpretazione della leggerezza, forse la più nota delle Lezioni americane che Calvino ci ha lasciato come sorta di eredità, non c’è niente. Ecco allora il pregio di un lavoro collettivo su Italo Calvino e il suo pensiero che arriva da sguardi in qualche modo “obliqui”, non consueti, e per questo non scontati e scevri di retorica. Calvino a Tunisi (128 pagine, 20 euro) è il frutto di un interessante intreccio di testi e riflessioni dedicati a Calvino dall’altra sponda del Mediterraneo. Curato da Chiara Comito e pubblicato da Mesogea grazie a un progetto sostenuto dall’Istituto Italiano di Cultura di Tunisi, il volume si divide in diverse parti che, con approcci e linguaggi molto distanti tra loro, cercano di mappare una rosa di discorsi su Italo Calvino sullo spunto della sua ricezione e interpretazione in un mondo culturalmente molto diverso da quello occidentale. La sorpresa è che ne escono delle riflessioni molto puntuali, notevoli spunti di ricerca, e soprattutto emerge la necessità di tornare sui testi di Calvino, per rileggerlo con la stessa esattezza.

Un punto di vista altro

Si parte dalle Lezioni americane, l’eredità simbolica più grande che Italo Calvino ha lasciato ai lettori del nuovo millennio: un’opera visionaria, forse per questo letta troppo spesso oltre i confini dei contesti per cui era stata pensata, e diventata altro. Troppo altro. Un gruppo di scrittori contemporanei tunisini si confronta dunque con i temi delle lezioni calviniane per aprire un dialogo inedito che ha il raro pregio di rifarsi a ciò che Calvino ha realmente scritto. È come una lente che si posa sulle parole dell’autore italiano e cerca di interpretarle, rileggerle, alla luce di una cultura altra. La leggerezza, così, non è più uno slogan da agendina ma torna a essere l’esito di profonde riflessioni sulla purezza del linguaggio.

Nei tantissimi riferimenti alla cultura occidentale che Calvino intreccia nelle Lezioni, emerge non solo la familiarità del mondo arabofono, spesso mediato dal francese, ma anche una visione che va oltre. Risuonano concetti e riflessioni universali che, in questa raccolta di saggi, sorvolano culture, e le uniscono. L’idea è che la potenza del pensiero calviniano sia tale da superare le culture, offrendo così spunti universali. I temi sollevati da questi capitolo potrebbero essere approfonditi e forse, chi lo sa, saranno davvero oggetto di ricerche e lavori di analisi proprio a partire da questo primo lavoro. Resta interessante, perché inedito, analizzare i possibili punti di congiunzione tra Italo Calvino e il mondo arabofono, sia nei riferimenti alle sue Lezioni, sia in quelli alla narrativa. La seconda parte di Calvino a Tunisi riporta gli esiti di un invito rivolto a diversi artisti del mondo arabo il cui esito è stato un mostra dedicata alla narrativa calviniana, vista attraverso gli occhi di artisti così culturalmente distanti. Ogni volta sorprende notare come immagini e tecniche, narrative e non solo, siano risvegliate dalle parole di Calvino. Come ci siano snodi da indagare, punti di congiunzione non casuali. Come Italo Calvino sia arrivato, in fondo, davvero a tutti. 

Tra lingue e culture diverse

Leggendo i saggi raccolti in Calvino a Tunisi si scopre che lo scrittore, oltre a essere uno degli autori italiani più tradotti all’estero, è anche il più tradotto nel mondo arabofono. Nella terza parte di questo saggio sono raccolte alcune interessanti riflessioni dedicate proprio alla traduzione di Calvino in arabo e persiano, dove si menzionano tesi e progetti che potrebbero avere sviluppi futuri perché hanno indagato forse per la prima volta la non immediata relazione tra lingue e universi culturali. Si ricorda che Calvino era molto puntiglioso in fatto di traduzioni, ma probabilmente solo laddove poteva farlo, cioè con i mondi linguistici che più gli erano familiari, ma non certo con le lingue arabe, per le quali tendeva a fidarsi.

Se una cultura diversa è, innanzitutto, anche la sua lingua, non sorprende l’abbondanza, tra i saggi dedicati al tema, dei riferimenti alla consapevolezza tutta calviniana delle questioni linguistiche e meta-letterarie: come la lingua descrive il mondo, qual è il ruolo dell’autore (su questo specifico punto, il bellissimo intervento di Silvio Perrella impreziosisce il saggio con un viaggio ironico tra gli inchiostri e l’autorappresentazione raffinata che Calvino ha dato di sé stesso nei suoi libri), come si coniugano immaginari apparentemente distanti attraverso i ponti della traduzione. È un viaggio tra culture, pensieri e lingue solo apparentemente distanti, uno stimolo che sarebbe piaciuto a Calvino. La sua curiosità, in tal senso, emerge bene nei testi dedicati al viaggio in Iran di Collezione di sabbia, e in atre esperienze in culture distanti da quella occidentale. Di estremo interesse, nel saggio, sono infine le riflessioni sulla traduzione in arabo e il posizionamento culturale dei traduttori: non ci sono tracce di interventi di Calvino su queste traduzioni, ma è invece stato rilevato come spesso, passando da una lingua all’altra, i testi conservino lacune o errori. Non è una mera curiosità, ma l’inizio di un percorso di studio e di un approccio a un autore di fama mondiale che parte da una periferia, cioè dalla sua ricezione in un mondo solo apparentemente distante, e che da questa posizione insolita può svelare molto sul nostro autore italiano.

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