Sandrelli, quel viaggio verso Napoli dell’ironico Leopardi

Giacomo Leopardi, nobile e poeta di una certa fama, e Antonio Ranieri, spiantato e sciupafemmine, sono i protagonisti del godibile e mirabile “Il coraggio di ridere Biografia leopardianamente ironica di Giacomo Leopardi” di Stefano Sandrelli. Su una comoda carrozza vanno verso Napoli, un libro di effervescente fiction…

Settembre 1833. Proprio il 2 due amici diversamente abili, Giacomo Muccio Leopardi (1798 – 1837), piccolo e deforme, scuro di capelli, brillanti occhi celesti, e Antonio Totonno Ranieri (1806 – 1888), atletico e bello, biondo di capelli, sguardo profondo, partono da Firenze su una comoda carrozza affittata, tirata da tre cavalli. Sono diretti a Napoli, la strada è lunga, non hanno fretta, ci metteranno un mese. Si guardano intorno, chiacchierano, scherzano, meditano, sorridono e ridono. Non navigano certo nell’oro, non viaggiano nel lusso, ma non si fanno mancare niente: due piatti caldi, pane e vino, a colazione e a cena; pernottamenti nelle migliori locande, con biancheria di tela fine per i due letti nelle camere divise; soste anche con deviazioni, valutate pure al momento.

Attraverso l’Italia

Giacomo è scrittore e poeta di una certa fama, abbastanza malato (pure di nervi), ora febbricitante, soffre sempre di oftalmia (infiammazione a occhi e naso), ha una doppia gobba sulla colonna vertebrale. Antonio è giovane e bello, bugiardo e leale, sciupafemmine e spiantato: aspira a essere letterato, non lo sarà mai, anni dopo diventerà deputato del Regno d’Italia, poi pure senatore. Giacomo Leopardi è un nobile conte, primo di dieci figli, coltissimo e non credente: non avrà relazioni amorose condivise né figli, un “peccato” per tante e tutti. Ebbe grande acume (invidiato e inviso a molti, pertanto), soprattutto notevole tagliente ironia, con cui si è in parte “salvato”, prolungando l’esistenza con il filtro e la deformazione di qualsiasi emozione, noia illusione delusione educazione attrazione rabbia. Solo Antonio Ranieri sembra capirlo sempre, da quando si sono conosciuti (a Firenze sei anni prima), con reciproci malumori ma senza dubbi o ripensamenti. Lo si vede mentre viaggiano verso Levane in Valdarno; verso l’Umbria, Spoleto e la Cascata delle Marmore; verso il Lazio, Roma e gli zii; verso Napoli, infine, patria dell’amico, nella quale cambiano vari appartamenti sotto il Vesuvio, per un breve periodo anche a Torre del Greco.

Il dialogo di Muccio e Totonno

Il bravo fisico e astronomo Stefano Sandrelli (Piombino, 1967) ha avuto l’ottima idea di narrare, per Mimesis, ne Il coraggio di ridere. Biografia leopardianamente ironica di Giacomo Leopardi (126 pagine, 12 euro) il viaggio da Firenze a Napoli di Leopardi e Ranieri, un dialogo intessuto dei loro “testi”, innanzitutto quelli del massimo poeta, pensatore e scrittore, notoriamente appassionato di scienza e poesia. I libri di Leopardi dovrebbero stare in ogni biblioteca privata e pubblica, pur minima; rileggerli e sfogliarli periodicamente dovrebbe mantenersi come saggia abitudine di ogni italiana e italiano. Su di lui, su ogni anfratto delle parole e della vita, la bibliografia è sterminata. Difficile scoprire con leggiadria qualcosa di totalmente nuovo, tuttavia ci si può divertire ancora e qui si tratta, appunto, di una breve “biografia leopardianamente ironica”, godibile e mirabile.

Il coraggio di ridere

Il taglio e il titolo coincidono: “chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire” (1828); “chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire” (versione nei Pensieri); chiusa differente, leggermente e significativamente; resta il coraggio! L’interlocuzione dialogante fra i due è effervescente fiction, ben venga. I capitoli sono nove, i primi sette accompagnano il tragitto in carrozza e le soste residenziali, consentendo di narrare episodi dell’esistenza storica di Leopardi e la sintesi delle sue idee sul mondo sociale e sulla vita biologica. L’ottavo ripercorre traslochi, incontri e cibi a Napoli. L’ultimo è datato 14 giugno 1837, quel giorno il concittadino poeta morì. Segue un appendice di una decina di pagine con “personaggi, interpreti, luoghi”. Segnalo che lo Sferisterio sta (ancora) a Macerata. L’indice dei nomi non servirebbe, si tratta di un riuscito efficace romanzo biografico, con il quale sorridere ancora una volta sul recanatese “gobbo dei Leopardi”.

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