Sacerdote ortodosso e teologo, espulso dall’Unione Sovietica, Sergej Bulgakov in “Giuda Iscariota” tratteggia l’apostolo traditore con un ardito ma affascinante parallelo: utile al sacrificio di Cristo che si traduce nella salvezza dell’umanità, è un corpo estraneo ai discepoli, ed è un marxista rivoluzionario che guarda a Gesù come possibile capo politico, ma gli volta le spalle come l’Urss da cui lui è fuoriuscito…
Non Michail Afanas’evič Bulgakov, ma Sergej Nikolaevič Bulgakov, altro geniale intellettuale russo, principalmente teologo e filosofo, ma anche economista. L’altro Bulgakov (1871-1944), che morì dopo il romanziere, pur essendo più anziano di vent’anni, è una figura che negli ultimi anni, a ragione, sta conquistando interesse e lettori. Uomo dalla vita affascinante, componente di una dinastia di sacerdoti, dapprima seminarista, poi in crisi, poi marxista e, infine, antimarxista, tornato alla fede e ordinato sacerdote ortodosso nel 1918, espulso dalla Russia sovietica, sarà ramingo, principalmente in Europa, e infine soggiornerà a Parigi, come docente all’Istituto di teologia ortodossa di San Sergio, tra opere teologiche di grande spessore che, però, gli attirarono qualche accusa di eresia. Un gioiello della sua produzione è adesso disponibile per il pubblico italiano, grazie alla cura e alla traduzione di Lucio Coco, storico delle religioni ed esperto di spiritualità russa. Pubblicato da EDB, Giuda Iscariota. L’apostolo traditore (139 pagine, 19,50 euro) di Sergej Bulgakov indaga la figura del cattivo per “antonomasia”, il mistero per eccellenza.
Sul solco di una tradizione
Colui che tradì Gesù ha ispirato, e anche affascinato, storici, letterati, studiosi di religione, anche linguisti (fra quanti hanno analizzato manipolazioni e incoerenze testuali nei Vangeli, o anche errori o scelte sbagliate, deliberatamente, in fase di traduzione…). Nella tradizione occidentale, in particolare, si sono moltiplicate analisi e interpretazioni del suo tradimento, la sua figura è stata demonizzata o assurta al ruolo di fedele discepolo, cioè di eroe tragico indispensabile al disegno divino. Da Dante ad Oz, a Borges, passando per Giuseppe Berto, Luca Doninelli e Nikos Kazantzakis su Giuda non hanno smesso di interrogarsi scrittori immensi, o anche solo importanti, che hanno scritto opere di grande popolarità.
Giuda è servito al compimento dei tempi e dei termini in ragione della nostra salvezza.
Meno popolare, forse, ma altrettanto significativo è il punto di vista di Sergej Bulgakov, che vede nell’apparizione del discepolo che vendette il Cristo un mistero terribile e salvifico, declinato in due saggi, oltre a quello che dà il titolo al volume, anche Due eletti: Giovanni e Giuda, «il prediletto» e «il figlio della perdizione», che fu pubblicato postumo, a decenni dal primo.
Giuda come l’Urss
La presenza di Giuda accanto a Cristo, con tutta l’ineluttabilità della tragedia che ne deriva, ha come in Giobbe un prologo in cielo, in essa vi è in questo senso una certa necessità divina.