“La seconda venuta di Hilda Bustamante” dell’argentina Salomé Esper racconta, con tenerezza e ironia, la morte e la resurrezione, attraverso un episodio incredibile, il ritorno in vita di un’anziana, tra le persone amate
Un po’ di sano buon vecchio realismo magico. Demonizzato da decenni, come se non si potesse vestire una storia di realismo magico, anche se le generalità della carta d’identità non sono quelle di Gabriel García Márquez o di Mario Vargas Llosa. In particolare da Bolaño in poi, come se anche lui non fosse in debito con la tradizione del continente latinoamericano, il realismo magico è stato guardato con sufficienza, sopportato, qualche volta sbertucciato. E per rinnegarlo si sono battute le strade più disparate, non sempre con esiti felici. E adesso cosa succede? Adesso arriva una poetessa argentina, che ha vissuto in Messico, Salomé Esper e si inventa un’elaborazione del lutto letteraria speciale, una lettura bellissima. La seconda venuta di Hilda Bustamante (171 pagine, 17,50 euro), tradotto da Carlo Alberto Montalto, è pubblicato dalle edizioni Sur ed è uno dei titoli della casa editrice romana che ci fanno drizzare le antenne.
Un felice scompiglio
Alle soglie degli ottanta anni Hilda muore e poi torna in vita. Si risveglia dopo un anno, dentro la bara, sotto terra. Fra quanti ama e la amano, evidentemente, c’è ancora chi ha bisogno di lei, il marito Álvaro per esempio, e Amelia, una nipotina adottiva, figlia di una vicina, Gabriela. Forse anche Genaro, con cui aveva consumato un tradimento, e un po’ tutto il microcosmo che ruotava attorno alla sua casa: torna e porta un felice scompiglio. Seguono giorni eccezionali, magici, pieni di sorprese, di domande, che finiranno, però. Sono pagine ironiche, tenere, a tratti fiabesche. Anche se si ragiona, e non poco, sulla morte non è un romanzo a tinte scure, che trasmette ansie o angosce. Si fa pace con la morte, e forse persino con la resurrezione, e si pensa follemente alla vita (con un unico rimpianto per Hilda, la mancata maternità), si cerca di viverla pienamente, con gli sbagli commessi, con le omissioni (in tal senso la protagonista è molto poco indulgente con se stessa, a differenza di tutti gli altri)
Capitoli come ciliegie
Non si è aperta nessuna terra, Carmen cara, sono uscita fuori da sola, questa non è opera di Dio, questa è… non lo so cosa sia, ma comunque non sono la tua Nostra Signora, per carità!, no! Come sarebbe a dire venuta? Nessuna venuta, Gesù è venuto nel mondo, e io non sono Gesù, sono io, Hilda! Ora alzatevi, tutte e due, su.
La prosa non è quella maestosa, rigogliosa e burrosa dei capisaldi latinoamericani, è più agile e moderna, va dritta al punto, anche grazie alla suddivisione in capitoli brevissimi, che si leggono come ciliegie. Leggere Salomé Esper riporta a qualche tempo fa quando, adolescenti, si leggeva dei Buendia o del Collegio Leoncio Prado di Lima. E forse è bello anche per questo.
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