Un giustapporsi di frasi che costruiscono un puzzle autobiografico è “Autoritratto” di Édouard Levé, morto suicida nel 2007. Con tono sobrio e neutro, alterna preferenze, idiosincrasie, nonsense. Pagine che incantano e imprigionano…
«Quel che c’è alla fine della vita non mi spaventa». Ma anche, forse anche in modo contraddittorio, «La fine di un viaggio mi lascia lo stesso amaro in bocca della fine di un romanzo». E ancora, «Poiché faccio ridere gli altri mi credono felice», «Provo simpatia per gli infelici», «Le sconfitte degli altri mi rattristano più delle mie», «Le sconfitte dei nemici non mi fanno gioire». E così via, il puzzle si costruisce con precisione e da angolazioni oblique. Frasi si affastellano e danno vita a periodi, così, in modo apparentemente disordinato. Il risultato è un volume intenso e profondo – ancor più, se si pensa che l’autore si è tolto la vita poco più che quarantenne, nel 2007 – che si intitola Autoritratto (104 pagine, 14 euro), è tradotto da Martina Cardelli e pubblicato dalle edizioni Quodlibet. L’ha scritto Édouard Levé, celebrato in quarta di copertina da Emmanuel Carrère.
Pensieri e persone
Sogno una scrittura bianca che però non esiste.
Non semplice scrittore, ma un artista totale, anche fotografo, Édouard Levé, che ha lasciato dietro di sé una scia di volumi misteriosi ed enigmatici. Oltre ad Autoritratto anche Suicidio, pubblicato anni fa da Bompiani, consegnato all’editore francese pochi giorni prima di togliersi la vita. Schegge e frammenti di pensieri e comportamenti che si mescolano e si fondono in Autoritratto, hanno le radici in preferenze, idiosincrasie, citazioni, progetti portati a termine e no, nonsense («L’Australia non mi attrae più del Canada») persone che hanno contato lungo il percorso della vita, e tutti scorrono come fotogrammi di una pellicola, un accumulo di pensieri e parole.
Una profezia di morte
Lungo le pagine, occultata ma non troppo, aleggia una profezia di morte («la mia morte non cambierà nulla», «Quindici anni è il centro della mia vita, qualche che sia la data della mia morte»), si moltiplicano i riferimenti alle armi, una carabina, un fucile da caccia del nonno. È il destino scritto, maturato lentamente, come le frasi brevi, di tono quasi sempre neutro, che s’aggiungono l’una dopo l’altra; nel loro giustapporsi c’è una formula segreta, una miscela che attrae, che incanta e che imprigiona, in assenza non solo di una storia, ma di alcuna filosofia morale, per fortuna. Un libro del genere non va compreso, non va sviscerato, va letto, va amato.
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