La Jane Austen più divisiva, quell’underdog dopo tante eroine

“Mansfield Park” è una specie di anomalia nella produzione di Jane Austen, forse il volume meno apprezzato per specificità narrative e tematiche e per le sfaccettature del personaggio principale, l’outsider Fanny Price, così diversa dalle altre protagoniste della scrittrice: vede quel che gli altri non vedono, e costruisce la propria identità indipendentemente dalle convenzioni sociali e dagli standard maschili di bellezza o desiderabilità… 

Tra i romanzi di Jane Austen, Mansfield Park (616 pagine, 11 euro) è forse il più divisivo. Non gode della popolarità di Orgoglio e pregiudizio o Emma, e anzi, è spesso considerato il meno amato dai lettori dell’autrice. Questo perché presenta delle caratteristiche peculiari che lo rendono diverso dal resto della sua produzione, sia sul piano narrativo che tematico, e al centro di questa diversità c’è sicuramente la sua protagonista, Fanny Price.

Il personaggio più frainteso

Fanny è in fin dei conti una outsider, un’eroina che si discosta dalle protagoniste austeniane più note. Se le altre eroine provengono da famiglie benestanti, con una posizione sociale relativamente stabile, Fanny arriva da una famiglia povera. Mentre le altre eroine vengono presentate ai lettori già in età da marito, Fanny fa il suo ingresso sin dal momento dell’infanzia. Fanny è il personaggio che più fa discutere, e forse anche quello più frainteso. È accusata spesso di essere passiva, statica e moralista, fino a risultare irritante. Ammetto che, a tratti, il suo atteggiamento rigido e giudicante può risultare respingente, soprattutto per un lettore moderno. Non tanto per i giudizi in sé – che alla fine si rivelano quasi sempre corretti – quanto per l’atteggiamento, che può sembrare rigido e severo. Ma forse è proprio questo che rende Fanny così scomoda: il fatto che nelle sue valutazioni morali è sempre lucida e coerente. A differenza di altre protagoniste di Jane Austen, che imparano attraverso i propri errori (come Elizabeth, Emma, Anne Elliot), Fanny non compie un vero percorso di revisione interiore. È l’unica a vedere chiaramente fin dall’inizio. Lo spettatore non la osserva mentre cambia, ma è quasi costretto ad accettare la sua visione del mondo, che può sembrare rigida, ma è in realtà coerente con il contesto che la circonda.

Spesso si accusa Fanny di passività. Ma è davvero così? La sua resistenza, il suo rifiuto di accettare le imposizioni dello zio e della società è in realtà un atto di forza interiore, poiché rimane ferma sulle sue convinzioni. E in un mondo – quello dei Bertram – dove il valore dell’individuo si misura sulla base dell’obbedienza e della convenienza sociale, la sua fermezza silenziosa è una forma di ribellione. L’impressione diffusa è che, poiché Fanny tende a restare in disparte, a osservare piuttosto che farsi notare, ad ascoltare più che parlare, allora non agisca davvero. Ma è un errore di prospettiva. Lo sguardo di Fanny non è mai passivo – tutt’altro. È uno sguardo attivo, vigile, penetrante, attraverso il quale non solo definisce sé stessa, ma anche il mondo che la circonda. È proprio nel dire “no” che Fanny esercita la sua agency, nonostante la sua posizione marginale: è una giovane donna, povera, senza potere sociale né economico, eppure capace di affermare sé stessa contro la volontà di tutti.

Fedele a se stessa

Il potere più grande di Fanny – quello che spesso sfugge – è il suo sguardo. È lei a vedere ciò che gli altri non vedono, troppo presi da sé stessi: le tensioni tra le cugine, la falsità sottile di Mary Crawford, l’ambiguità morale di Henry, la cecità di Edmund. In un mondo che corre dietro all’apparenza e all’ambizione, Fanny è l’unica che guarda davvero. E questo suo sguardo ha un peso narrativo molto forte. Il tema dello sguardo è centrale in Mansfield Park (tradotto da Laura De Palma per Mondadori) e si manifesta in diverse forme: lo “sguardo morale” e lo “sguardo sociale”. Il primo, incarnato da Fanny, è uno sguardo interiore e riflessivo. Chi lo possiede non si limita a seguire ciecamente le regole o a cercare l’approvazione esterna, ma si interroga su ciò che è giusto o sbagliato, compiendo un vero e proprio lavoro di coscienza e di sviluppo del proprio carattere. Al contrario, lo sguardo sociale, che si può attribuire a Mary, è superficiale e orientato esclusivamente all’approvazione degli altri: l’individuo si conforma alle aspettative della società e agisce per piacere, senza una reale riflessione morale.

Fanny costruisce la propria identità indipendentemente dalle convenzioni sociali e dalle aspettative maschili, scegliendo consapevolmente di non adattarsi all’ideale di donna del suo tempo, né agli standard maschili di bellezza o desiderabilità. La sua grande forza risiede proprio nella sua volontà di rimanere fedele a sé stessa: ad esempio, fin dall’infanzia, le cugine la deridono perché non vuole imparare le abilità “femminili” come il disegno o la musica; oppure, respinge il matrimonio come imposizione sociale (mentre Maria Bertram lo vede come un obbligo, e Mary Crawford come un gioco di potere e astuzia).

Questa sua indipendenza non è ben vista né dai personaggi maschili, che cercano di controllare le donne, né da quelle figure femminili che perpetuano ruoli patriarcali, come la zia Norris. Quest’ultima infatti commenta: «Le piace agire a modo suo, non le piace ricevere ordini, si gode la sua passeggiata in libertà ogni volta che può; ha senza dubbio la tendenza a fare le cose in gran segreto, e possiede uno spirito di indipendenza alquanto assurdo che le consiglierei di vincere per il suo bene» (questo passaggio dimostra chiaramente che, lungi dall’essere privo dell’ironia tipica di Jane Austen, come spesso accusato, Mansfield Park ne è anzi profondamente permeato, e la usa sapientemente per evidenziare le contraddizioni e le ipocrisie dei suoi personaggi).

Severa ma giusta (e anche imperfetta)

Fanny resiste allo sguardo altrui: quante volte nel romanzo il narratore sottolinea che Fanny non amava essere guardata, che in certe situazioni sociali temeva di attirare l’attenzione? Questo suo rifuggire lo sguardo altrui non è soltanto espressione della sua timidezza e della sua ansia sociale, ma anche un segno della sua profonda autocoscienza e del desiderio di non essere definita dall’immagine che gli altri hanno di lei. Perciò, no: Fanny non è affatto una figura passiva; al contrario, è un personaggio attivo proprio perché, pur nella sua timidezza, rifiuta di essere ridotta a un oggetto dello sguardo altrui, soprattutto maschile (Henry, lo zio, Edmund)

Ed è proprio nel suo sguardo da osservatrice imparziale che si manifesta l’autonomia morale di Fanny. In più di un momento del romanzo ho avuto la sensazione che, talvolta, Fanny svolgesse per la narrazione la stessa funzione che abbiamo noi lettori: quella di spettatori degli eventi. Ma neanche il lettore è mai totalmente passivo: non si limita a guardare, bensì elabora opinioni, fa commenti e formula aspettative. Allo stesso modo, attraverso il suo sguardo attento, Fanny costruisce e modella il proprio sé interiore. Per esempio, sviluppa empatia osservando le dinamiche tra le due cugine e Henry Crawford: si accorge che lui gioca con entrambe, cosa che loro non vedono, e ciò le fa provare dispiacere per la loro sofferenza, nonostante sia sempre stata emarginata da loro. È forse vero che i suoi giudizi sono severi, ma quasi sempre giusti.

Non voglio dire che Fanny sia un personaggio perfetto. Anzi, proprio le sue imperfezioni la rendono più complessa. La sua eccessiva gratitudine verso quei parenti che l’hanno accolta, ad esempio, mostrano un lato di ingenua idealizzazione. Qui, Fanny mostra un po’ di ingenuità, idealizzando i parenti di Mansfield come persone care, dimenticando però le umiliazioni, la noncuranza e l’indifferenza subite (da tutti tranne che da Edmund). Quando viene mandata forzatamente nella casa dei genitori, Fanny rimpiange Mansfield, che per lei rappresenta un luogo di ordine e stabilità, in netto contrasto con Portsmouth, che disprezza poiché disordinata, sporca e caotica. Probabilmente Fanny rimpiange anche gli agi a cui era abituata, ma non si può condannare del tutto il suo disprezzo per la casa paterna, quella stessa casa che l’ha abbandonata da bambina, affidandola a dei parenti che non conosceva. Mansfield è ben lontana dall’essere un nido familiare perfetto, ma in fondo è l’unica casa che Fanny abbia mai davvero conosciuto, e in essa, tra gioie e sofferenze, risiede il suo cuore e tutti i suoi ricordi.

L’autenticità in un mondo falso

In sostanza, Fanny vuole essere una persona autentica in un mondo dominato dalla falsità. In fondo, tutto ruota intorno a questo. Il suo modo di fare può apparire eccessivamente moralistico, è vero, ma ciò a cui Fanny aspira è la sincerità. Il suo giudizio severo su Mary nasce dal fatto che Mary non è autentica. Mary è affascinante, ironica e ammirevole sotto certi aspetti, ma manca di sincerità; è guidata dall’ambizione verso la ricchezza della famiglia Bertram. Certo, il romanzo non è privo di elementi problematici. Ad esempio, ho trovato eccessivo il giudizio negativo su alcuni personaggi. Henry Crawford, pur non essendo un modello di virtù, ha un potenziale di crescita che lo distingue dagli altri. Mostra un sincero interesse per Fanny, è l’unico a cogliere le mancanze della famiglia Bertram nei suoi confronti e, in alcuni momenti, appare più autentico della stessa Mary. Il suo percorso di evoluzione, anche se interrotto, poteva essere a mio parere uno dei più interessanti del romanzo.

È vero che Fanny non cambia nel corso del romanzo, ma questo non significa che sia passiva. Poiché Fanny ha sempre avuto una visione chiara e realistica delle cose, per lei non c’è una grande scoperta da fare: la vera trasformazione deve avvenire negli occhi degli altri. Sono gli altri, infatti, che devono finalmente riconoscere ciò che Fanny è sempre stata. All’inizio trattata con indifferenza e talvolta disprezzo, alla fine viene accettata e rispettata dalla famiglia. Certo, Fanny non ha la vivacità di Elizabeth Bennet, l’intraprendenza di Emma, né la passione di Marianne Dashwood, ma è un’eroina che rivendica con forza il diritto di essere se stessa — nel suo modo timido, riservato — e possiede una consapevolezza profonda e matura della complessità della vita, una qualità che merita pieno apprezzamento.

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