Fra i campioni del Boom ispanoamericano, ma senza folklore e senza realismo magico, c’è il guatemalteco Augusto Monterroso, virtuoso della forma breve, amato da colleghi notissimi. “Moto perpetuo” è una raccolta di microracconti, aforismi, digressioni, incursioni saggistiche, tra satira, umorismo paradossale e nel solco della tradizione di certo fantastico…
Le foto di questo signore occhialuto con montature alla Carlo Sgorlon mi avrebbero detto poco. Questo bell’articolo dell’ottimo Simone Bachechi mi aveva acceso una lampadina. Infine, il ricordo delle tanto citate e poco lette Lezioni americane di Italo Calvino ha chiuso il cerchio. Quando Calvino lodava la rapidità, additava come ottimo esempio tale Augusto Monterroso, c’era anche lui nel gruppo del Boom sudamericano, ma senza realismo magico e senza folklore, alla distanza era uscito dal… gruppo, fuori dai radar di pubblico e critica, specialmente in Europa. A torto. «Io vorrei mettere insieme – scrive Calvino – una collezione di racconti d’una sola frase, o d’una sola riga, se possibile. Ma finora non ne ho trovato nessuno che superi quello dello scrittore guatemalteco Augusto Monterroso». L’apoteosi era questo racconto contenuto in Obras completas y otros cuentos, ovvero Opere complete (e altri racconti) (di cui abbiamo appunto scritto qui): «Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí», cioè «Quando si risvegliò, il dinosauro era ancora lì». Ostinatamente, allora, torniamo su Augusto Monterroso, alla sua economia espressiva, ma all’alta intensità delle sue parole. Fra gli anni Ottanta e Novanta era apparso presso Sellerio (deus ex machina Angelo Morino) con qualche titolo e da qualche anno è stato rilanciato e valorizzato da Occam, casa editrice che a sede a Perugia e manda in libreria libri dalle copertine bianche immacolate, come il più recente di Monterroso, Moto perpetuo (153 pagine, 16 euro), pubblicato dall’autore nel 1972, approdato per la prima volta in Italia nel 1993, grazia e Marcos y Marcos, e adesso riproposto nella nuova traduzione di Barbara Bertoni.
Classico in vita
Scomparso nel 2003, il guatemalteco Augusto Monterroso, nato nel 1921, aveva trascorso l’infanzia in Honduras, sedicenne tornò con la famiglia a Città del Guatemala, dove iniziò il suo impegno letterario e politico (contro la dittatura militare) che l’avrebbe condotto, dal 1944, all’esilio tra Bolivia e Cile, e infine a stabilirsi, fino alla morte, in Messico, dove fra gli altri fu buon amico del mitico Juan Rulfo. Da lì ha lasciato il segno con la sua letteratura… concisa, spesso in linea con la migliore tradizione del fantastico latinoamericano e dell’umorismo paradossale, non disdegnando parodia e satira. Figura significativa, amata da molti colleghi contemporanei e non, dal già citato Calvino fino a Vila-Matas, passando per Asimov e Garcia Marquez, Donoso e Bryce Echenique, Monterroso era una sorta di classico vivente e poteva permettersi di scrivere qualsiasi cosa. Il successo degli scrittori dell’America Latina? Ne scriveva così, ironizzando sulla ricezione nel resto del mondo.
Negli Stati Uniti e in Europa hanno recentemente scoperto che esiste una specie di scimmie ispanoamericane capaci di esprimersi per iscritto, forse repliche della scimmia diligente che a forza di battere a macchina finisce per scrivere di nuovo, per caso, i sonetti di Shakespeare. […] Sono passati più di quattro secoli da quando fra Bartolomé de Las Casas riuscì a convincere gli europei che eravamo umani e che avevamo un’anima perché ridevamo; ora vogliono convincersi della stessa cosa perché scriviamo.
I bassi? Diventano poeti…
Moto perpetuo è uno dei vertici della produzione di Augusto Monterroso, libro – tra le cui pagine irrompono disegni di mosche e, leggendolo, scoprirete perché, questi insetti sono un filo conduttore – di allegoriche micronarrazioni, frasi essenziali, aforismi, facezie, digressioni, piccole incursioni saggistiche, racconti fulminei, un libro libero, senza etichette e… corrosivo. «La conoscenza diretta degli scrittori è nociva», stacca perentorio in una mezza paginetta intitolata Homo scriptor. E ancora, poco più di una riga, intitolata Fecondità si risolve così: «Oggi mi sente bene, un Balzac: sto finendo questa riga». Chiama a raccolta Melville, Joyce, Proust, Monterroso, quando gli servono per portare avanti i propri ragionamenti, per intrecciare concetti, sia che scriva di fuga dei cervelli, di quanto sia importante che avvenga, sia che scriva della spassosa correlazione – eccezion fatta per l’altissimo Cortázar – fra bassa statura (Monterroso è alto un metro e sessanta centimetri) e l’arte di fare poesia: «La denutrizione che provoca la bassa statura può spingere, senza che nessuno sappia perché, verso la mania di scrivere versi».
Una sola eccezione all’irriverenza
Riesce a essere saggio e giocoso nello stesso momento, nell’ambito della stessa pagina, Monterroso, spesso fa metaletteratura, con l’energia allusiva della sua prosa ellittica, con la sua sottile intelligenza, con la sua irriverenza che arriva quasi ovunque. Quasi. Si ferma davanti a un collega argentino, la cui aura e la cui arte superano quelle di tutti. In Benefici e malefici di Jorge Luis Borges si racconta dell’insensata e irresistibile tentazione di imitarlo, di quanto sia sorprendente, necessario («come respirare») ma anche pericoloso, di come possa disorientare, di come non possano non esserci conseguenze dopo l’incontro con Borges, anche estreme per uno scrittore, tipo cambiare mestiere…
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