Il successo de “Il fuoco che ti porti dentro”, romanzo ispirato alla figura della madre Angela, ha ridefinito la convivenza delle due anime di Antonio Franchini, potente uomo dell’editoria italiana e apprezzato scrittore. “La vasta platea raggiunta con il libro? Merito del tema della maternità – spiega in questa intervista – e di una protagonista politicamente scorretta in un mondo politicamente corretto in modo soffocante. Ero un autore di nicchia, magari tornerò a esserlo ma sono troppo anziano e del mestiere per viverlo come un problema…”
«Non voglio che mi riabiliti, solo che mi rendi interessante». Quel che Philip Roth raccomandò al suo biografo, Blake Bailey, avrebbe potuto dirlo anche Angela al figlio Antonio Franchini, che l’ha immortalata, come si potrebbe fare nella pienezza di un romanzo e nella bellezza di un personaggio da romanzo, ne Il fuoco che ti porti dentro (ne abbiamo scritto qui e qui), libro rivelazione dell’ultimo anno e mezzo, pubblicato dalla casa editrice Marsilio. Antonio Franchini – che è anche a capo del gruppo editoriale Giunti Bompiani – è stato protagonista di vari appuntamenti a Palermo, nell’ultima edizione del festival “Una marina di libri”, ha incontrato gli studenti universitari di Lettere, ha presentato libri altrui e ha trovato il tempo per queste due chiacchiere.
Antonio Franchini, certo che ad Angela sarebbe piaciuto molto questo libro ispirato alla sua figura…
«Direi proprio di sì, non ho dubbi a riguardo…».
Il fuoco che ti porti dentro è nelle librerie da febbraio 2024, da ben più di un anno lei partecipa a presentazioni in giro per l’Italia, si confronta con i lettori, firma autografi. È un volume che sta andando molto oltre la vita media delle novità, con la sua protagonista coacervo dei peggiori mali degli italiani. Come si spiega questo successo?
«Mi sono dato anche più di una spiegazione. La prima è la forza di un’eroina femminile anticonformista e sostanzialmente politically incorrect in un’epoca caratterizzata da political correctness anche un filo soffocante. Quindi probabilmente questo è un dato che ha contribuito, le farneticazioni di questa donna hanno avuto un effetto liberatorio, almeno su una parte dei lettori. Inoltre c’è il tema della maternità, che è comunque centrale, un tema dibattuto, nel senso che poi è importante che di certi libri di narrativa si possa discutere anche, paradossalmente, a prescindere dall’averli letti o no. E questo libro sollecita, solleva tutta una serie di temi dei quali è abbastanza facile parlare. Quindi è un libro comunicabile, da un certo punto di vista. Un libro di narrativa comunicabile, come certi libri di saggistica».
L’interesse e l’attenzione della critica sulle sue opere non è mai mancato, stavolta fa i conti con un riscontro pubblico, con una visibilità che ha certamente allargato la platea dei destinatari del romanzo. Che effetto le fa? Cambia qualcosa per il futuro? Le aspettative sue o di chi lavora con lei?
«Certamente è cambiato molto rispetto al passato, sono state vendute trentamila copie ed è tanto per un libro di letteratura, per me sono numeri eclatanti, ho sempre venduto poche migliaia di copie e sono sempre stato un autore abbastanza di nicchia. Però non cambia nulla, non in maniera radicale almeno. È ovvio che, dopo essere diventato un autore di relativo successo, magai tornare a vendere tremila, quattromila copie sarà ovviamente un passo indietro, però sono troppo anziano e troppo del mestiere per farmene un problema».
E la nuova dimensione del relativo successo rende un po’ più difficile la convivenza delle due anime, quella di dirigente editoriale e di scrittore? Nel passato aveva come un senso di pudore nel presentarsi come autore…
«Certo, era così. Oramai ho sessantasette anni, ovviamente continuo a lavorare nel mondo editoriale (tecnicamente è in pensione, ma resta al timone di Giunti Bompiani come super consulente), ma la discrezione, che sicuramente ha caratterizzato la mia esposizione nell’ambito della narrativa scritta in prima persona, sia anche un filo caduta per ovvie ragioni di età. Quindi certamente quel tipo di contraddizione, di conflittualità tra questi due lavori è venuto abbastanza meno negli ultimi tempi».
Tornando a lei ragazzo, che negli anni Ottanta muoveva i primissimi passi nel mondo dell’editoria, con un grande fuoco dentro e tanta gente disillusa attorno, come ha raccontato agli universitari di Palermo. Del fuoco di quel ragazzo cosa resta dopo tanti decenni in cui ha ricoperto ruoli molto importanti, divenendo, sembra una brutta parola, un potente del mondo editoriale?
«La parte del lavoro della quale posso essere oggi un filo stanco non è certo quella della lettura e della scoperta dei testi. Quella continua a essere la parte più bella del lavoro, a cui resto molto affezionato e su cui non ho nessun cedimento dovuto al passare del tempo. Ovviamente ci sono tanti altri aspetti che hanno a che fare con la gestione, che mi risulterebbero oggi più pesanti, ma dai quali, grazie alla mia età, sono adesso abbastanza sollevato».
«Abbiamo fatto la nostra parte, in un periodo di grandi cambiamenti a livello generale. Meno per quanto riguarda l’aspetto della scrittura dei libri, della loro elaborazione da parte degli autori, ma tantissimo nel modo di promuovere i libri, tra irruzione dei social e ridimensionamento del ruolo della critica. La metamorfosi negli ultimi anni è andata avanti in modo esponenziale. Il mondo del libro e dell’editoria, oggi, è profondamente diverso da quello che, molto giovane, conobbi io, ma anche rispetto a quello di dieci, quindici anni fa».
Seguici su Facebook Instagram, Telegram, WhatsApp, Threads, YouTube e X. Grazie