Charles-Ferdinand Ramuz: il tempo, la vita e… una mano

Charles-Ferdinand Ramuz è nell’Olimpo degli scrittori d’Oltralpe e il suo conciso e potente “Una mano” è un racconto – con passaggi anche buffi – che evoca una disavventura personale dell’autore, la rottura dell’omero. E sconfina in riflessioni profonde sul senso della vita e sul passare del tempo

Forse non è così immediatamente chiaro, almeno in Italia, ma lo svizzero francofono Charles-Ferdinand Ramuz – ventidue romanzi all’attivo – è nel firmamento degli scrittori d’Oltralpe, da una ventina d’anni nel Pantheon della “Bibliothèque de la Pléiade”, grande scommessa di Gallimard, dopo che la fama di Ramuz, morto nel 1947 era gradualmente scemata nel dopoguerra. Eppure in vita l’autore svizzero, che scriveva orgogliosamente in un francese non raffinato ma arcaico e ruvido, vicino a quello parlato dai contadini delle sue terre, aveva avuto una certa visibilità e riscontri critici e di pubblico. In Italia è stato edito principalmente da Jaca Book, ma adesso è tornato in libreria grazie alla casa editrice Abbot, specializzata nei ripescaggi d’autore. È il caso di uno squarcio autobiografico che si fa riflessione sull’esistenza, questo è Una mano (82 pagine, 10 euro), pubblicato nella collana Eccezioni, grazie ala traduzione di Davide Callegaro (qui un suo articolo). Un racconto dalla scrittura concisa ma potente, che risale al 1933, senza mostrare i segni del tempo.

Il mondo non è fatto a misura delle nostre speranze; le nostre speranze non tengono conto delle possibilità del mondo.

Cure e convalescenza

L’autore si presenta piuttosto sottomesso ai medici e alle sensazioni ed esigenze del corpo, quasi fosse una marionetta. Le cure in ospedale e la convalescenza dopo la rottura di un osso, l’omero, conseguenza di una caduta su una lastra di ghiaccio, sono solo una prima chiave di lettura di questo libro che ci conduce in altri territori. Lucido, ironico, Charles-Ferdinand Ramuz, impossibilitato a utilizzare la mano sinistra, e per questo esasperato, ragiona sulle funzioni da riacquistare, dunque sull’esperienza fisica e quotidiana, ma anche oltre. Non in modo inquietante, però, anzi anche buffo, come quando racconta la riabilitazione.

… sono codardo, supplico. Ho il tono stucchevole e umile del mendicante che sporge il suo cappello. Ho fatto ricorso alla pietà. Non mi dispiace di essere miserabile; provo solo a fargli pena.

Pazienza e sconforto

Il tempo che scorre e il senso dell’esistenza si insinuano pian piano nell’andamento di Una mano. La pazienza dello scrittore – che non può scrivere con una mano bloccata – mista allo sconforto, all’angoscia e a un senso di umiliazione, alla riflessione sul dolore fisico e su quello dell’anima, sull’autonomia da riconquistare, sono il nocciolo della questione in questo volume molto più che apprezzabile. Autore da far tornare in auge e libro da prendere al volo.

L’uomo è nato per la contemplazione. Tutti i miei piaceri sono venuti da lì. si può affermare che la nostra felicità non può che essere disinteressata. Avere non è niente, essere è tutto.

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