Michel Bussi, una catena di delitti e i crimini del colonialismo

L’omicidio di un miliardario nei pressi del suo yacht, nell’Atlantico caraibico, è solo il primo di una serie con cui fa i conti il capo della polizia Valéric Kancel, nel romanzo “Gli assassini dell’alba” di Michel Bussi. Sembrano tutti immotivati omicidi alla stessa ora di uomini e donne apparentemente non connessi fra loro…

Guadalupa, Francia, Atlantico caraibico. Una settimana di primavera 2024. All’alba di domenica 7 aprile il ricchissimo Jacob Santamaria sguazza come un bebè paffutello, bimbo di oltre sessant’anni e di oltre cento chili, vicino alle magnifiche biodiverse rive, abbastanza distante dal suo yacht ancorato al largo, oltre la barriera corallina. La fedele moglie Damienne e l’amico avvocato Allan lo aspettano sul ponte del Karukera, vede che qualcuno sta nuotando verso di lui, occhi sconosciuti e rabbiosi, poi un dolore gli squarcia il polmone, una fiocina lo uccide. Dopo poco arriva dalla barca direttamente al prefetto una segnalazione di scomparsa, tra la foresta di mangrovie e il Grand Cul-de-sac Marin.

L’investigatore e le sue origini

Il brigadiere di turno chiama il 44enne comandante Valéric Kancel, capo della polizia di Point-à-Pitre, originario dell’area ma tornato solo da qualche mese per almeno rivedere la madre in coma (e presto deceduta per cancro alla laringe), dopo oltre venti anni di servizio in madrepatria; in Normandia ha lasciato la ex moglie e i suoi due figli Rose e Gabin, 18 e 20 anni; ha gli occhi azzurri e chiari crespi capelli, i genitori meticci (Valérie ed Éric) invece li avevano nerissimi, è uno chabin, incarnato biancastro e lineamenti negroidi. Intanto, un vecchio creolo al porto sembra avere un’allucinazione, parla di un morto vicinissimo e di sangue sulle scale. Effettivamente a pochi metri di distanza, in cima alla Scala degli schiavi giace proprio un corpo nudo con la fiocina in mezzo al petto. In quel momento i due capitani di polizia erano diversamente affaccendati: Jolène Dos Santos a un aperitivo con il contatto occasionale Tinder, se ne era già stufata; Amiel Ouassou a pranzo dai genitori del compagno, il quale si conferma ancora reticente a segnalare il legame omosessuale. I tre poliziotti accorrono, trovano un biglietto con il nome di uno schiavo senegalese lì forzato e morto nel 1663. Si avvia una lunga inarrestabile catena di omicidi all’alba dei giorni successivi, sempre annunciati dal vecchio.

Ricostruzione perfetta e attenzione agli ecosistemi

Lo scrittore già professore di geografia all’università (in aspettativa dal 2016) Michel Bussi (Louviers, 1965) vive sempre a Rouen in Normandia e pubblica ottimi gialli di successo da quasi una ventina d’anni (avendoli cominciati a scrivere ben prima). L’autore fu discreto studioso della sua disciplina (specialista di geografia elettorale), continuando a prestare attenzione lirica e scientifica agli ecosistemi, in particolare insulari, in questo Gli assassini dell’alba (383 pagine, 18,50 euro) – tradotto da Alberto Braci Testasecca per le edizioni e/o – una splendida parte dell’arcipelago delle Antille, mar dei Caraibi, dipartimento francese, con qualche carcere sulle isole ovviamente. I quasi venti romanzi pubblicati hanno una precisa ricostruzione dei “luoghi”, veri o immaginati, in cui sono ambientati e una notevole completezza di riferimenti alle specie vegetali o animali oltre che ai confini istituzionali o amministrativi. La sua professione gli ha imposto una maggiore attenzione nel trattare anche le altre discipline scientifiche, comunque quelle biologiche. L’autore ha avuto straordinario successo in Francia, è tradotto in decine di lingue, molto apprezzato in Italia. I suoi godibili romanzi gialli sono “pezzi unici”, finora mai seriali: trame estremamente arzigogolate con vari marchingegni letterari di difficile trasposizione e replicazione, scritture da scienziato geografo, più che da sceneggiatore sincopato.

Un piano di vendetta

In copertina un incendio e le catene; il titolo riassume la trama, immotivati omicidi alla stessa ora di uomini e donne apparentemente non connessi fra loro; chi uccide lascia tracce e forse vuole solo depistare, ha un meticoloso piano vendicativo evidentemente; arrestare subito l’anziano mago ciarlatano si rivela inutile, lui vaticina pure dietro le sbarre. In esergo e in vari momenti della vicenda richiamo ai versi del grande Aimé Césaire (1913 – 2008), poeta scrittore militante francese, originario della Martinica. La narrazione è in terza varia al presente, sugli investigatori (principalmente su Valéric, che aveva dovuto denunciare il padre violento), con rari intervalli o brevemente in prima su chi uccide, o di articoli informativi del locale sito sanamente ribelle, firmati dalla nera e bruna giornalista Marie-Douce Madou Lénervé, che avrà un crescente ruolo nella vicenda. Spesso giustamente si ricordano i crimini dello schiavismo e del colonialismo, pure in quel contesto spiccatamente meticcio. Tanto rum, più e meno secco o aromatico. Col vino venezuelano pare vada benino il sottofondo jazz.

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