La mitica finale di Wimbledon 1980 raccontata da un raccattapalle undicenne è al centro de “La grammatica del bianco”, romanzo di Angelo Carotenuto. Più che l’evento sportivo e le due filosofie tennistiche contrapposte in campo, sono però la solitudine e le paure di Warren, il raccattapalle che dal suo punti di vista ci racconta la sfida, a prendersi la scena. Per crescere si deve anche sbagliare, sembra raccontare il tennis, e il match sull’erba è un corso accelerato di vita per il giovanissimo…
Nelle famiglie, nelle scuole, nei luoghi di aggregazione (ce ne sono sempre meno, d’accordo, ma ci sono ancora) se vi guardate bene attorno ci sono tanti ragazzini come Warren Favella, protagonista indiscusso de La grammatica del bianco. Un’estate a Wimbledon (256 pagine, 15 euro), affascinante e impeccabile romanzo di Angelo Carotenuto che torna oltre dieci anni dopo la prima edizione, per la collana La Memoria di Sellerio. Protagonista indiscusso, Warren, sebbene tra le pagine di questo libro ci siano un paio degli ego più debordanti della storia mondiale del tennis, quelli dei grandi rivali Bjorn Borg e John McEnroe, l’iconico vichingo e l’irascibile statunitense alle prese con la finale di Wimbledon del 1980, vinta dallo svedese, per la quinta volta consecutiva, sull’erba londinese. Sfida impressa per sempre nella storia dello sport, con due filosofie tennistiche e di vita contrapposte, sfida evocata e raccontata con gli occhi di un undicenne inglese, raccattapalle, bisognoso d’attenzione e alle prese con qualche disagio psicologico, Warren appunto – e come lui tanti dei nostri figli – che non ha mai conosciuto il padre, fuggito via, che non si sente compreso dalla madre iperprotettiva, a scuola, e in genere con gli altri, non si trova bene.
Colpi e scaramanzie, gesti e respiri
Quella mitica partita di tennis, nel racconto di Angelo Carotenuto, fa esplodere tutto quel che di buono e di inespresso si agita nel petto di Warren, tutto quello che l’ha portato a ricercare la solitudine (un po’ come quella dei tennisti da un angolo all’altro del campo) e gli spazi chiusi, piuttosto che il contatto fisico e lo sport, che l’ha condotto lontano dai coetanei e l’ha tenuto immerso nella paura, che l’ha fatto rifugiare nei giochi linguistici o a caccia di vocaboli arcaici, nel singolare sogno di fare il casellante, piuttosto che alla ricerca di amici. Il confronto fra titani gli fa fare un passo fuori di sé e dentro il mondo. Osserva le loro scaramanzie, mentre porge asciugamani ai campioni o li rifornisce di palline prima della battuta, ne ammira i colpi sensazionali, ne registra respiri e gesti. Le quasi quattro ore di gioco, di quello che è diventato un evento non solo sportivo ma generazionale, hanno un impatto enorme sul destino del ragazzino, sono un corso accelerato grazie a cui mettersi alla prova e crescere, in tutto, perfino nel rapporto innocente con l’amica del cuore, Ginny. Angelo Carotenuto racconta tutto questo con grazia e intensità, riuscendo a trovare un equilibrio fra sprazzi divertenti e pensieri profondi.
Adatto a ogni età
Naturalmente non siamo in presenza di un libro per ragazzi o, meglio, possono leggerlo anche loro, ma soprattutto lettori di ogni età. Il pensiero positivo che questo volume emana può far bene a tutti. Se c’è una cosa che Warren, da bordocampo, e i lettori, con questo libro in testa e fra le mani, possono apprezzare è una precisa caratteristica del tennis, che Angelo Carotenuto mette in primo piano: nel giro di pochissimo tempo questo sport concede, sempre, seconde occasioni, a cominciare da ogni secondo servizio. L’errore come circostanza quotidiana, non eccezionale, come momento che non tarpa, ma da cui ripartire, in modo ancora più convinto è un toccasana nel mondo super competitivo di oggi: «È un gioco che ha previsto la possibilità di sbagliare addirittura nel regolamento, è consentito, lo perdona».
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