L’enigma Franz Kafka è stato affrontato anche da Giorgio Fontana che, nel volume “Kafka, un mondo di verità”, percorre alcune delle inesauribili strade interpretative sullo scrittore praghese. A cominciare dalla sua fede e devozione nei confronti della letteratura, del suo incantesimo liberatore, dall’idea della favola, della visione giocosa in fondo all’inquietudine che traspare dai suoi occhi…
Parlare e in qualche modo provare a celebrare ancora, qualora ce ne fosse bisogno, un qualche anniversario di Franz Kafka per interposta persona, con uno scritto cioè “su” Kafka, e farlo per di più l’anno successivo al centenario della morte del grande scrittore praghese (già ampiamente celebrato infatti lo scorso anno, anche qui, qui, qui e qui), può apparire già di per sé “kafkiano”. Se poi lo si fa riferendosi a un saggio critico uscito proprio lo scorso anno, si immagina quindi con un qualche intento celebrativo, lo può far apparire tale ancor di più, salvo notare che certi autori sono immortali e scavalcano mode e celebrazioni. Se a farlo poi è un autore come Giorgio Fontana, scrittore lombardo che dimostra una lunga frequentazione kafkiana che traspare anche nelle sue prove da romanziere, da ricordare il suo dittico sulla giustizia, Per legge superiore, e Morte di un uomo felice (entrambi editi da Sellerio), quest’ultimo gli è valso il premio Campiello del 2014, allora il cerchio si chiude in un modo che più armonico (aggettivo questo il meno kafkiano possibile) e illuminante non può essere. Tale è il volume dal titolo Kafka, un mondo di verità (306 pagine, 16 euro).
Un affascinante quadro identitario
Il libro è il frutto di una lunga e assidua frequentazione di Franz Kafka da parte dell’autore, un eruditissimo studio sull’opera e sulla da essa per molti versi inscindibile vicenda biografica dell’autore de La metamorfosi. Nelle note finali Fontana spiega infatti come (in parte) il risultato del volume sia quello di prolusioni e conferenze tenute in occasione di vari festival letterari e altri interventi ai quali lo stesso è stato chiamato, e testimoniano appunto il suo amore a prima vista alla lettura delle opere del praghese, seppure in modo inconscio, come avviene per molti dei nostri amori letterari in fondo, non capendone esattamente le ragioni, cosa tanto più vera per quanto riguarda “l’enigma” Kafka, i motivi della cui fascinazione rimangono per molti versi un mistero. Dice Fontana parlando della sua prima lettura di Il Processo a soli diciassette anni: «non ci capii granché, ma ne rimasi sconvolto: davvero la letteratura poteva spingersi tanto in là?». Cosa sia questo «tanto in là» Giorgio Fontana prova a spiegarlo facendo leva sulle suggestioni delle pagine dei racconti e dei romanzi di Kafka, questi ultimi tutti incompiuti come sappiamo, senza dimenticare le Lettere e i Diari, corollario essenziale per entrare nel “mondo” dello scrittore e dell’uomo. Ne emerge anche un affascinante quadro identitario di Franz Kafka, l’irresoluto, l’eterno indeciso, l’inquieto e sempre sfuggente indagatore metafisico, l’analista del potere e delle sue leggi imperscrutabili, sempre in bilico tra le incombenze diurne del suo alienante lavoro alla compagnia di assicurazioni e la vocazione notturna, quando lontano dalla luce del mondo e dalle sue ansie e contraddizioni può dedicarsi alla sua demonica scrittura, il socialista libertario seppure mai militante, ma anche la persona gentile, dolce, scherzosa e scanzonata che non riesce a nascondere quel fondo oscuro di inquietudine che traspare dai suoi occhi di un non meglio identificato colore.
Quel che disse Adorno
Il libro di Fontana è un attento e documentato studio, corredato da una ricchissima documentazione bibliografica. Su Franz Kafka ovviamente è stato scritto tantissimo e certamente si continuerà a farlo come dovuto per un autore dalle inesauribili letture e interpretazioni e un fulcro imprescindibile della letteratura del Novecento e senza paura di spingersi «tanto in là» di quella universale, per il quale più di molte altre valgono le parole di Theodor W. Adorno il quale forse più di qualsiasi altro suo esegeta ha saputo in modo breve riassumere la sensazione che si ha entrando a contatto con i suoi testi, quella che questi «investano la dimensione affettiva del lettore a un punto tale che questi tema che il raccontato si avventi su di lui», in un modo sembra che quei testi ci stiano realmente guardando e leggerci nel profondo.
La terra promessa della letteratura
Tra le inesauribili letture e interpretazioni dell’opera kafkiana e del suo “enigma”, testimoniata dalla sterminata bibliografia presente, banalmente quella di Fontana potrebbe esserne considerata una ulteriore, oltre a un bellissimo atto di amore verso uno scrittore e sulle prerogative e possibilità della letteratura. Quello che fa Fontana su Franz Kafka è andare ancora più a fondo delle cosiddette e stereotipate letture: l’inquietudine e l’angoscia, la burocrazia e la deformazione grottesca della realtà, il comico e il paradossale e labirintico senso del vivere, il tormentato rapporto con il padre, il senso di colpa e l’ancoraggio alla tradizione ebraica, il linguaggio allusivo e la sua scrittura per metafore sulla quale si è tanto incentrata la critica, il senso del divino e il misticismo, insomma tutti quelli che definiremmo i tratti distintivi del “kafkiano”, ma che nella riflessione di Giorgio Fontana diventano un focus sull’estetica di un genio della parola letteraria, che ce ne mostra la seduttività, immerso come è nel profondo simbolismo di cui è ammantato il linguaggio nella tradizione ebraica, l’idea cabbalistica per cui l’alfabeto sia all’origine dell’essere, basti pensare allo yod, la lettera più piccola e fragile dell’alfabeto, in realtà l’iniziale del nome divino, la lettera che si fa parola, il piccolo che diventa grande in ossequio all’assunto biblico “In principio fu il verbo”, un destino, quello che ci può far dire per Kafka che per lui la terra promessa fosse la letteratura, una fede nella parola per la quale le lettere dell’alfabeto ebraico si arricchiscono di un nuovo significato allegorico, a prima vista straniante, spiazzante e enigmatico, così come lo sono in grande misura le situazioni che scaturiscono dai suoi romanzi e racconti.
Uno scarto, una singolarità
In un momento qualsiasi delle sue opere, all’improvviso interviene uno scarto, una singolarità come appare nella parabola descritta ne Il Ponte “Die Brücke” nel quale il ponte stesso non sa librarsi sull’abisso che separa le due rive, in modo allusivo l’abisso tra significante e significato, e nel momento in cui sta per riuscirci si sofferma a osservare “chi” quel ponte lo sta percorrendo, una figura umana sulla quale si focalizza l’attenzione, un movimento e quindi una trascendenza che non è quella dal passato o dal futuro di un regno di là da venire, quindi ultramondana, ma dal mondo realmente esistente, con tutte le sue deformazioni. È questa in gran parte la concettualizzazione di “letteratura minore” teorizzata nel celebre saggio di Deleuze e Guattari e incentrata proprio su Franz Kafka nella quale infatti il nostro amato Franz compare come il suo maggiore esponente, proprio a significarne il tipo di approccio alla letteratura e non solo per l’humus linguistico e culturale di provenienza, quello dei tedeschi di Praga con il loro parlare una lingua spuria e quindi “residuale”.
Il volume di Giorgio Fontana illustra e ci suggerisce, anch’egli in molti casi e esiti alludendovi (perché con Kafka le strade interpretative saranno sempre inesauribili) questo e molto altro, confrontandosi direttamente con lui con un corpo a corpo con le sue opere, senza dimenticare le fondamentali Lettere e Diari, sviscerandone anche gli aspetti più reconditi e meno banali con una serie di profonde riflessioni che traggono spunto dalla ricchissima bibliografia critica presente sul grande praghese, con un rigore filologico che non prescinde dal suo sguardo da “scrittore”, proprio per andare oltre lo stereotipo e le molteplici possibili letture di un genio della letteratura che rischia di essere incasellato in collocazioni che sebbene le più stimolanti rischiano di calcificarsi nei luoghi comuni sottraendoci la meraviglia.
La chance di salvezza
Dirimente in tal senso è quello che Fontana riesce a mettere in luce sul fiabesco in Kafka e sulla fede e devozione nella letteratura, il vero senso di una vita. Da un brano dei Quaderni di Kafka è tratta una frase che è più che esemplare e che dà lo spunto a Fontana per il titolo del suo libro: «In un mondo di menzogna, la menzogna non viene bandita dal mondo nemmeno attraverso il suo contrario, bensì attraverso un mondo di verità». L’arte di Kafka non è solo una ripugnante deformazione della realtà con un qualche superiore scopo catartico o ideologico ma la distruzione stessa di quella ripugnante menzogna che è la realtà, è il gioco del bambino come emerge dall’episodio citato da Fontana nel suo libro e tratto dalle Lettere: Franz Kafka si trova a Berlino in un parco con la sua ultima compagna di vita Dora Dyamant. Incontrano una bambina che piange per aver perso la sua bambola. Kafka le chiede il motivo di quel pianto e cerca di consolare la piccola dicendole che la bambola non è sparita ma che è partita per un viaggio, cosa che afferma di sapere perché gli ha scritto una lettera. La bambina chiede delle prove, cosa che Kafka fa incontrando di nuovo la bambina per molti giorni successivi al parco e portandole le lettere da lui scritte e ricevute dalla bambola ove questa narra le sue avventure. È l’idea della favola, dell’incantesimo liberatore di cui dispone la letteratura di cui ci parla Franz Kafka, per elevarsi, immergendovisi dentro a quella realtà distorta, assurda e violenta che forse nessuno come lui ha saputo rappresentare. Non è la salvezza quella che Kafka ci promette con i suoi scritti, bensì è la chance di salvezza che balugina qua e là, anche nelle sue cose più cupe e inquietanti e che ci continua a affascinare, è il Messaggio dell’imperatore, contenuto in uno dei suoi brevi racconti più belli, quell’idea che proprio l’imperatore abbia «inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte» e che nonostante tale messaggio difficilmente arriverà a destinazione «tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera».
L’elemento fiabesco e giocoso
Farsi piccoli, sognare, l’elemento giocoso in Franz Kafka è fondamentale. Georges Bataille scrive “di un atteggiamento del tutto infantile nell’opera di Kafka, in opposizione all’etica commerciale incarnata dal padre”, un elemento fiabesco e giocoso che Fontana mette bene in luce, ma anche logica, logica e incantesimo, non come dovremmo comportarci, ma come dovrebbero andare le cose affinché trionfi la giustizia, benché Gregor muoia, Josef K. sia ucciso, Karl Rossmann respinto, ma il fiabesco rimane, nella chance di salvezza che balugina qua e là in una costante dicotomia tra Natura e Grazia, con la consapevolezza, ci dice Kafka, che noi non abbiamo, non ci è permesso l’accesso all’albero della vita ma a quello della conoscenza, e siamo dannati per questo.
Franz Kafka ha mostrato il lato assurdo e ridicolo del potere, ci ha parlato della giustizia in un universo senza senso come traspare in capolavori quali Il Processo o Il Castello, oltre a molti dei suoi racconti. Il libro di Giorgio Fontana ci aiuta a decifrare meglio “l’enigma” Kafka, lo fa con uno sguardo approfondito e analitico sulla sua parola, per il resto ci sono tutte le opere che ci ha lasciato il grande praghese, opere che con la loro doppiezza, l’irrompere in esse del perturbante del quotidiano e il riverbero di una verità superiore necessiteranno ancora di letture e interpretazioni e ricerca di quel mondo di verità, per quanto sfuggente sia e sempre rimarrà, ed è questo quello che più affascina dell’ “enigma” delle sue opere, la cui lettura farà di ogni giorno un degno anniversario di Franz Kafka.
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