MAMURIO L.

Guardiamoci tutti negli occhi, ma davvero qualcuno crede profondamente che sia un capolavoro come qualcuno blatera?

male è scritto male, l’editing, questo sconosciuto…

Un monologo rischia di annoiare, tre (in combinata) possono risultare fatali. Sommare le forze non sempre è un vantaggio.

Occasione perduta, occasione sprecata. Troppi sbalzi temporali. Per leggerlo fino alla fine bisogna essere dei santi o degli incoscienti.

Raffazzonato e con ampi passaggi oltre i limiti del comprensibile

… e questo è quello sbagliato!!!.

La grande fotografa Vivian Maier meritava qualcosa di più strutturato e meno frammentario, qualcosa di più compiuto.

Dovrebbe essere la storia di una specie di precursore della fotografia; è una storia che fa una fatica incredibile per decollare e non atterra da nessuna parte…

Non mantiene quel che promette, tra stereotipi, prolissità, digressioni infelici e sentimentalismo

Tema: cantare la città della città senza avere la voce. Svolgimento: questo libro.

Il desiderio di finirlo in fretta. Il desiderio che questo infinito ripetersi di autoreferenzialità e autoindulgenza non abbia vinto lo Strega. Ah, l’ha vinto?

Uno scivolone senza eguali: “tre vergini, tre miracoli, una minaccia” e una valanga di banalità

La parte più eccitante del romanzo “Fedeltà” di Missiroli resta la copertina.

Il Re è il Re, ma questo è uno dei pochi romanzi in cui toppa: inutilmente lungo e di una noia mortale.

Non solo silenzio, ma anche caos e noia e qualche passaggio davvero incomprensibile. Meglio perderlo che trovarlo.

Dopo alcune di pagine vien voglia di abbandonarlo. Si arriva fino in fondo per confermare questa idea iniziale. Altro che stile alla Elena Ferrante

Lo scivolone di un grandissimo. Assurdo rapporto pagine/prezzo. Da leggere in piedi in libreria. O forse nemmeno lì

Gli amori tormentati riempiono librerie e biblioteche. E noi li amiamo. Ma non così noiosi e pieni di stereotipi

L’idea c’è. Strada facendo però, lo sviluppo del thriller prende una piega che a tratti rasenta il grottesco. Peccato

Se l’intento di Peter Handke, fresco di Premio Nobel, era quello di trasmettere noia e apatia, ci è riuscito benissimo

Per la serie “anche i grandi, toppano”. Vi assicuriamo che Echenoz ha fatto molto meglio, ma questa spy-story in salsa franco-nordcoreana è meglio evitarla

Una coppia che non funziona, un protagonista insopportabile, una scrittura elementare, e un happy end scontato. Può bastare per scoraggiarne la lettura?

Nomen omen. Lo scivolone di una carriera più che pregevole. Un horror che non trasmette ansia. Alcune banalità. Finale improponibile/incomprensibile.

Nonostante il blurb entusiasta del leggendario Pynchon in copertina…  una lettura da cui si esce stremati, per il tedio che trasmette in centinaia e centinaia di pagine. 

Lento, esasperante, inconcludente. Sarà che a Natale vogliamo sentirci raccontare altre cose; o forse Calaciura ci ha abituato troppo bene

Sciapo e inconsistente. Nell’ansia di importare campioni della letteratura statunitense si prendono anche certi granchi…

L’ottimo Dawkins stavolta ha toppato: una pietanza che sa tanto di minestra riscaldata (pessima pure la copertina)

Anche i giganti toppano. Lasciano perplessi questi reportage dal Mare Nostrum, scritti giusto per spillare quattrini ai committenti.
Senza rancore, Georges.

Personaggi prevedibili, punto di vista ai limiti del banale, voce narrante priva di complessità per le pretese del tema

Pasticciaccio brutto, pseudo giallo, personaggi appena abbozzati, qualche stereotipo partenopeo di troppo. Scialbo

Poche sentite parole: ma stiamo scherzando?

Un’occasione sprecata. Prolisso, farraginoso e colloso

Didascalico, a tratti grottesco. Noia mortale, senza mordente