A lunga conservazione. Due parole sull’amore

Al netto del tempo che passa e del fatale autunno dell’esserci, il grande amore – da declinare al passato – è quello intriso di com-passione. Ed è chimica o costruzione, altrimenti amore non è…

 

L’amore per un essere implica che un Altro che non sia tu assuma per te la stessa importanza di te stesso, o addirittura, un’importanza superiore. E però, a essere pignoli, occorre precisare che, non bastasse l’ambiguità della parola italiana amore, troppo sintetica per designare con chiarezza le tante sfere dell’amore, c’è, in generale, una singolare attitudine degli umani a scambiar lucciole per lanterne.

Tempi e modi del verbo

Provo a spiegarmi. Se fossi il dittatore d’una qualsiasi repubblica delle banane, proverei a proibire la coniugazione del verbo amare in tutti i tempi e modi ad eccezione dei passati dell’Indicativo. Conserverei, per intenderci, solo l’imperfetto (amavo), il passato remoto (amai) e il passato prossimo (ho amato). Diciamocelo chiaramente: amerò, amerei e amassi sono francamente improponibili per la semplice ragione che non si può esser certi nemmeno del presente, il fraudolento ti amo. C’è una diffusa, incomprensibile impellenza di scomodare l’amore nell’arco di pochi giorni, se non ore, dal misfatto; prima ancora di capire cosa stia accadendo, prima ancora di soddisfare gli elementi minimi di una conoscenza minima, prima ancora d’esser certi d’aver scambiato non solo fluidi corporei. 

In francese nascere si dice naître, mentre conoscere si dice connaître. C’è solo un cum a fare la differenza. Suona come se in italiano si dicesse co-nascere: conoscere come nascere assieme.

Personalmente trovo inconcepibile un amore che non contempli o sia suscitato dalla stima o, meglio ancora, da una reciproca ammirazione. Purtroppo, nella prassi, alla base dell’amore operante spesso manca persino la reciprocità, nel senso che c’è uno che si strugge e un altro che (s)fugge o mente o disattende annose promesse (eventuali sovrappiù di cattiveria e meschinità sono già in conto). 

Una malattia importante

L’errore più comune è di confondere l’effervescenza iniziale per amore compiuto; donde gli intempestivi ti amo del tutto privi del pudore dovuto a un segreto ancora tutto da svelare.

Ho idea invece che l’amore con la maiuscola sia apprezzabile solo col senno di poi, in quanto fatto compiuto e verificato. Non diversamente da una patologia infettiva il vero amore lascia anticorpi che testimoniano d’una avvenuta malattia; una malattia importante, ben diversa dalle iperemie e dalle farfalle di Eros che notoriamente non lasciano segni del loro passaggio.

Per trovare traccia d’un marker bisognerebbe almeno aver fatto l’amore con la mente dell’Altro. Bukowski sosteneva che scopare la mente di una donna è vizio da raffinati intenditori, perché gli altri si accontentano del corpo. Mi limito a chiosare: purché non si tratti di un esercizio di stile che attiene alla seduzione. Libri cinema e teatro sono lì a dimostrarci la potenza emozionale della simulazione. 

La paura di restar soli

A parte il suddetto travisamento c’è poi un’altra diffusa ragione sottesa all’urgenza di pronunciare la parola amore: la paura di restar soli. Il proverbio “meglio soli che male accompagnati” è difatti fra le massime più ignorate nella storia del mondo.

Gli antichi greci, gran belle teste, le parole le usavano bene. Per amore, ad esempio, ne avevano davvero tante, e avevano il buon vezzo di piazzare il giusto vocabolo al posto giusto. Poter chiamare le cose col proprio nome procura un piacere impagabile.

Eros, Philia e Àgape (rispettivamente amore fisico, amicizia profonda e amore purissimo e incondizionato) non sono che la parte più visibile dell’iceberg semantico greco. Ci sono infatti tanti altri sostantivi o nomi mutuati dalle divinità (come Eros, per l’appunto) atti a contemplare i casi dell’amore: l’amore per se stessi, fra consanguinei, la passione bruciante, l’amore corrisposto e non, l’amore per le persone care lontane, lo speciale diletto nel far qualcosa, e finanche l’amore pragmatico: lo sforzo costante di alimentare e rinsaldare una relazione nel tempo. 

Insomma, ce n’è d’avanzo, altro che il brullo amor latino e neolatino al quale siamo costretti.

Diciamocelo pure: questa uninominalità è davvero insidiosa tanto sul piano cognitivo che nella denominazione dell’esperienza.

amore mani  

Desiderio o dono

Non volendo impantanarmi fra locuzioni perifrasi e distinguo mi affiderò al buon senso. Diciamo che la partita fra due che si amano per davvero si gioca su due possibili moduli: l’amore come desiderio o l’amore come dono (La cura di Battiato, per intenderci, in verità assai rara). Questi moduli dichiarano immediatamente quale sarà lo schema di gioco, la statura morale dei giocatori e tante altre cose.

È opinione diffusa che il grande amore sia quello più intriso di passione. Protesto fermamente. 

La gente non sa quel che dice. La passione è una mera spinta verso un certo oggetto del nostro desiderio, che tuttavia non presuppone un contatto biunivoco né compiuto (celebri infatti le passioni frustrate).

Sostengo invece che il grande amore sia quello intriso di com-passione. Ancora un segno di congiunzione. Tutt’altro dall’ipotetico, equivocato sinonimo: la pietà. Nell’antichità pagana la pietas stava a indicare una devozione religiosa e civile che finì col designare precipuamente la devozione per la trinità Dio Patria e Famiglia. Figurarsi: un affetto rispettoso, un affetto dovuto. In epoca cristiana la pietas giunse a designare dapprima la misericordia divina e dappoi la commiserazione.  

Etimologicamente la compassione è un calco della simpatia: dal greco syn e pascho: condividere il sentire, l’affezione, l’emozione, cioè vibrare sulla stessa corda. A certe latitudini del pensiero il cum dilaga.

A proposito di empatia

La simpatia non va infatti confusa con l’empatia, che si limita alla partecipata comprensione ma non presuppone una condivisione di intenti né di lettura del contesto: es. un ebreo che prova empatia per un palestinese ferito o viceversa. (Di questi tempi fa tendenza sostituire ebreo e palestinese con russo e ucraino). Sul piano del vivere sociale l’empatia ha un valore inestimabile. Sul piano dell’amore può non bastare, come ci avverte l’esperienza empirica. 

In altri termini, la compassione infrange i confini di due vite distinte e le coagula in un comune sentire. L’amore tra compassionevoli è un’esperienza estrema, sporadica e ineffabile come l’estasi: un abbandono di sé che brama in un Altro e in un Altrove la sua mancanza d’essere. 

Ciò detto, bisogna sempre fare i conti col fattore tempo: la durata che sciupa inesorabilmente e che arriva a spegnere soli e galassie: il fatale autunno dell’esserci.

E tornando all’amore nel quotidiano, riducendo all’osso ciò che si cela dietro tanti discorsi ispirati: o si tratta di chimica o di costruzione (La costruzione di un amore Spezza le vene delle mani Mescola il sangue col sudore Se te ne rimane. Fossati dixit). Altrimenti amore non è; può esser di tutto: forse terrore della solitudine, compromesso, un resistere a denti stretti contro ogni evidenza, un dimesso tirare a campare. 

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