Guðrún Eva Mínervudóttir: “Scrivere per sopravvivere”

La giovane islandese Guðrún Eva Mínervudóttir, autrice di “Metodi per sopravvivere”: “La mia vita è cambiata dopo un viaggio in Italia, sono tornata a casa e ho iniziato un romanzo. L’amore vero, che è l’Agape, è sempre buono. L’amore erotico è un insieme di Agape ed egoismo, di follia, è umano, non diabolico, ma può trasformarsi in ossessione, manipolazione, violenza”

In Metodi per sopravvivere (168 pagine, 17 euro), pubblicato da Iperborea nella traduzione di Silvia Cosimini, Guðrún Eva Mínervudóttir, giovane scrittrice islandese, è alle prese con una serie di personaggi determinati a vivere un’esistenza ai margini della solitudine, se non fosse che nella parola “amore”, in cui risiedono numerose sfaccettature dei rapporti interpersonali, potrebbero trovare la chiave di svolta: un proprio metodo di sopravvivenza. Laureata in filosofia, traduttrice di autori internazionali, Guðrún Eva Mínervudóttir, nel 2011 vince il Premio Letterario Islandese con il romanzo Allt með kossi vekur (Tutto si risveglia con un bacio). Ha iniziato a scrivere dopo un folgorante viaggio a Venezia, da lì non si è più fermata.

Ciò che colpisce della scrittura del nord Europa è spesso la descrizione di famiglie disgregate. Figli che si allontanano dai genitori giovanissimi per poi ricongiungersi una volta giunti al capezzale. Spesso è la comunità a costituire il nucleo famigliare al quale appoggiarsi. Ti sei data una spiegazione su questa dinamica?

«Quello che metti in evidenza, è più facile che accada in una comunità piccola, il villaggio agisce come una famiglia, ora in Islanda sentiamo forte il valore della famiglia, ma questo avviene principalmente nelle piccole comunità. Penso che in Islanda siamo aperti all’idea di formare una famiglia, scegliere le persone vicino a te: un gruppo di amici può essere la tua famiglia, se hai un un buon rapporto con i tuoi genitori, loro possono esserne parte, ma al tempo stesso è accettato tenere una certa distanza quando i rapporti non sono buoni. Non significa che che devi troncare i rapporti con loro, ma avere meno frequentazione. Alle volte non è facile vedere bene le cose che ti riguardano, ma le persone non si sentono in dovere di frequentare i loro genitori se non hanno un buon rapporto con loro, se avere rapporti è dannoso o gli procura dolore, non si sentono in dovere di frequentarli necessariamente solo perché sono la tua famiglia».

Il tuo libro è intitolato Metodi per sopravvivere, la scrittura è uno di questi?

«Sono quasi sicura che se non fossi diventata una scrittrice, la mia salute mentale ne avrebbe risentito. È molto importante per me, sento il bisogno di scrivere. È successo in Italia, quando ero adolescente volevo fare la guida turistica, quando ho compiuto 18 anni durante un viaggio Interrail sono arrivata a Venezia ed è successo qualcosa: ho iniziato a scrivere e da lì non mi sono più fermata. Quando sono tornata a casa in aereo, mi è venuta in mente una storia, un romanzo di fiction, quindi qualcosa era realmente accaduto, quando sono tornata a casa, ho iniziato a scrivere ma ero frustrata perché scrivevo troppo lentamente. Ho comprato un laptop di seconda mano, che era grosso come una valigia, parliamo di tanto tempo fa, e ho iniziato a scrivere il mio primo romanzo che era ambientato in Italia, una giovane ragazza fa un viaggio in Italia, forse la storia è troppo lunga per raccontarti che cosa accadde a Venezia. È stata una piccola cosa ma mi ha lasciato il segno».

Gli adulti che si occupano dei due giovani protagonisti sono due sconosciuti, non sono nemmeno vicini di casa o amici di famiglia eppure in loro c’è un sentimento umano che li spinge a cercare di salvaguardare l’altro. Quanto questo sentimento è presente in noi e quanto gli ultimi anni hanno cresciuto una generazione di indifferenza?

«Per mia modesta opinione, i due adulti, protagonisti del mio libro, si stanno comportando in maniera molto naturale, penso che sia un istinto naturale aiutare gli altri quando vedi che ne hanno bisogno, è una cosa ovvia da fare. Naturalmente se sentiamo che non ci è permesso farlo, o pensiamo che le persone ci percepiscano come estranei, ognuno sta per conto suo, ma se la società te lo consente, lo fai perché è piacevole aiutare gli altri e a volte puoi essere di grande aiuto, anche facendo piccole cose che non sono un grande sacrificio per te».

In un’intervista ha detto “l’amore a volte fa emergere i lati più estremi della personalità”. Quando accade si può parlare ancora di amore? Quando questo si relaziona con la violenza o con la paura, è amore?

«La lingua inglese ha solo una parola per esprimere l’amore, se pensiamo al greco antico aveva qualcosa come cinque diverse parole per descrivere quello che gli inglesi dicono solo con la parola “love”. Come puoi descrivere il sentimento d’amore più nobile che provi per un altro, un amore disinteressato con la stessa parola che puoi usare per un amore imposto e interessato? Dobbiamo prestare attenzione alla differenza tra amore erotico e l’amore vero che è l’Agape ed è sempre buono. L’amore erotico è un insieme di Agape ed egoismo, di follia, ed è chiamato amore ma dovrebbe avere un altro nome. È qualcosa di umano, non è diabolico, ma può facilmente trasformarsi in ossessione, manipolazione, e persino violenza».

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