Greenaway, Kaufman e la mise en abyme

Uno studio accurato, firmato dal giovane Alessandro Cutrona, con i riflettori puntati sulle opere dei due cineasti. Senza dimenticare altre fondamentali opere visive e letterarie

Uno studio interdisciplinare tra scienze sociali, letteratura e cinema condotto attraverso quella complessa tecnica che è la mise en abyme, termine coniato da Andrè Gide nei suoi “Diari” nell’anno 1893, letteralmente traducibile in “collocato nell’abisso”. Ecco cosa è L’attualità della mise en abyme nelle opere di Peter Greenaway e Charlie Kaufman di Alessandro Cutrona, un volume pubblicato dalle edizioni Mimesis nella collana eterotopie.

L’esistenza di possibili mondo-versioni

La mise en abyme è una tecnica adottata da tutte le forme artistiche e letterarie: pittura, arti plastiche e performative, sino alla “settima arte”, il cinema, spettacolo per immagini dedito alla sintesi della dimensione spazio-temporale. Il volume di Cutrona prende avvio dalla definizione di Lucien Dӓllenbach «ogni inserto che intrattiene una relazione di somiglianza con l’opera che lo contiene» e studia quell’arricchimento di significati, rappresentazioni e microcosmi che hanno caratterizzato le opere di Peter Greenaway e Charlie Kaufman. Delineando prima un excursus storico che va dalla società dello spettacolo con le profezie di Guy Debord e lo sguardo critico degli adepti al détournement situazionista, passando per le opere visive di Jan van Eyck e di Diego Velázquez, quelle letterarie di D. Diderot, J. Cortázar, J. L.Borges, e infine quelle cinematografiche di S. Rye, R. Mamoulian, O. Welles, J-L.Godard, M.Scorsese, B.De Palma, D. Koepp, D. Yates, H. Miyazaki. Tutte le opere prese in considerazione rappresentano casi esemplari del tema centrale di questo volume; esplorando con attenzione i mondi creati da un artista completo prestato al cinema, Peter Greenaway, e il creativo visionario sceneggiatore Charlie Kaufman. Autori di storie per immagini e inchiostro, i quali hanno sempre esibito una certa propensione a proporre l’esistenza di possibili mondo-versioni.

L’attualità della mise en abyme come modello di coincidenza, sovrapposizione o rievocazione di storie tra personaggi come avviene nella metalessi, non è però l’unico territorio di indagine. Il capitolo finale è dedicato al ritratto del reale con diverso angolo di prospettiva e visione: il metagaming, grado evoluto ed espanso di percezione, sperimentazione e comprensione. Lo spettacolo continua ad essere il cuore dell’irrealismo, tallona la comprensione del reale, facendo dell’immagine il bene più prezioso, e dello spettatore – oggi utente e player – il proprio target di riferimento per eccellenza. È stato opportuno risalire alle origini di quell’esperienza antropica che è lo spettacolo, per ispezionare con una coraggiosa zoomata l’evoluzione del grado di sensibilità e percezione che lo spettatore ha dovuto subire, bombardato da ogni tipo di rappresentazione.

Una tecnica che non è solo inganno e artificio

La mise en abyme dà vita a un doppio, come nel caso dello specchio, condividendo con questo l’artificio o la stregoneria che gli consente un simile effetto. La mise en abyme fa di ciò che ha originato un medium, un ingresso da attraversare, investigare e forse anche da riempire, poiché è proprio lì che si cela l’essenza di un’opera. La mise en abyme, dunque, è possibile considerarla come deposito di sensazioni, emozioni e illusioni, nella quale ci si specchia per leggere il riflesso che poggia le proprie fondamenta nel reale, per investigare su un fascinoso microcosmo in parte celato. Sarebbe utile guardare alla mise en abyme distaccandosi dalle comuni logiche della razionalità, e non valutare questa tecnica solamente come artificio, inganno o un reale falsato, bensì come strumento di un’attenta indagine che offre una conoscenza approfondita, seguendo una prassi archeologica, per scavare una porzione di tempo, spazio, privo di fondo e temporalità.

Grenaway e Kaufman

Ampio spazio nel volume è dedicato ai due registi presenti nel titolo, il gallese Peter Greenaway pittore prestato al cinema per eccellenza, che nei film I misteri del giardino di Compton House (The Draughtsman’s Contract, 1983) e L’ultima tempesta (Prospero’s Books 1991), dà vita ad esempi di costruzione a più livelli di verità e, quindi, stratificazioni narrative, le quali danno forma a micro diegesi scritturate nello spazio di un frame, mondo-versioni su pellicola che trattano saldamente un intreccio romanzesco. Tali immagini hanno instillato l’idea che la mise en abyme non enfatizza esclusivamente la percezione visiva, ma giustifica in un certo qual modo, la propria esistenza per il solo fatto di essere portatrice del frammento di un originale.
Allo stesso modo, la trattazione dei due lavori dello statunitense Charlie Kaufman, Il ladro di orchidee (Adaptation, 2002) e Synecdoche, New York (2013), hanno sospinto le possibilità narrative adottabili in una sceneggiatura, nelle camaleontiche varianti di un racconto filmico. È evidente la sintesi che la mise en abyme o più precisamente in questo caso la metalessi, risulti utile a sintetizzare le silhouette psicologiche di un personaggio, e quindi la sistematica coincidenza tra autore, regista, sceneggiatore, attore protagonista. Ben distante da ogni rigore logico, la sostituzione di un’istanza narrativa con un’altra comporta una forte tematizzazione di ruoli e figure nel quadro-film.

Charlie Kaufman

Il reale non rappresentabile

Il volume di Cutrona ha una prospettiva di lettura che non si limita a rintracciarne gli effetti, ma ad interpretare il perché di questa tecnica in un preciso intervallo di tempo. L’opera nell’opera, il teatro nel film, il romanzo nel film, il dipinto o la performing art entro un lungometraggio, hanno permesso a questo testo di fare dell’individuazione un metodo, una lente attraverso la quale evidenziare quella mappa logica o meno, che organizza uno spettacolo per immagini.
Il metalinguaggio al quale si perviene consente di avvicinarsi ad una rappresentazione mediante un approccio sperimentale, cioè un film non è soltanto una serie di fotogrammi, ma come nel caso di Peter Greenaway un omaggio alle più svariate forme d’arte. Nondimeno, Charlie Kaufman ha dimostrato con il suo primo lavoro da regista (Synecdoche, New York) che non è possibile rappresentare il reale, poiché questo è in continuo divenire. Questo caso filmico chiude il cerchio di una fase conclusiva: la mise en abyme non va esclusivamente intesa come copia del reale, ma come strumento utile a ricucire i punti di una tela che non può contenere lo scorrere del tempo, e vuole fissarne solo alcuni. Sarebbe utile, infatti, concepire la mise en abyme come stadio iniziale di ricerca, come territorio da popolare attraverso meticolosa perizia per giungere a più schemata, essenziali per una maggiore comprensione di senso.
La mise en abyme è come un’entita mutaforma che rende possibile il trasferimento di una proprietà in un’altra, plasmando continuamente struttura (dalla pittura alla sceneggiatura sino al film e alla videoarte) non compromettendo mai, quel principio auratico racchiuso in un’opera. Un’ulteriore chiosa che ha trovato fertile terreno di sperimentazione nel volume è il metagaming.

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