Comyns, volare sopra le cattiverie terrene

Un padre padrone e lo straordinario e letale potere di una figlia. Con una prosa piana ma anche poetica Barbara Comyns nel classico “La ragazza che levita” crea un riuscito mix di crudele realismo e atmosfera irreale

Realismo crudo e sofferente ed immaginazione pressoché onirica animano il romanzo La ragazza che levita (149 pagine, 16 euro) di Barbara Comyns, pubblicato dalla casa editrice Safarà, nella traduzione di Cristina Pascotto. Un padre, di professione veterinario, tratta madre e figlia come serve, schiave da cui tutto pretendere e nulla dare. Dopo la morte della madre, uscita da quel contesto infernale, la giovane Alice trova la forza per continuare a vivere nei ricordi, nell’ammirazione della natura, in un fantasioso e unilaterale amore e soprattutto nella taciuta scoperta dello straordinario e poi letale potere di levitare.

Ambiente domestico, vivere immutabile

Ambientato nel sud di Londra, all’inizio del Novecento, il romanzo si caratterizza sin dalle prime pagine, per la descrizione analitica, minuta di un ambiente domestico e di un vivere quotidiano immutabile e severo, dove il padre-padrone domina e condiziona, come nel romanzo omonimo di Gavino Ledda e nel film dei fratelli Taviani, tutto e tutti, ma niente e nessuno può però impedire alla ragazza di sognare, di volare, di levitare oltre il reale, e lei, Alice lo sa fare, possiede questo magico potere e da zerbino su cui pulire le scarpe, quale il padre la ritiene, si trasforma in essere che vola, che si solleva dalle cattiverie terrene verso cieli che dall’alto guardano la misera umanità.

Gotico? No, realismo magico

Più che un romanzo gotico, come in genere dalla critica viene definito, La ragazza che levita di Comyns sarebbe da inserire nell’ambito della narrativa che si collega al realismo magico perché, questo romanzo «ha una precisazione realistica di contorni… e intorno come un’atmosfera di magia che fa sentire, traverso una inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la nostra vita si proietta» (articolo di Massimo Bontempelli, Riv.900). E, di fatto, Barbara Comyns riesce tra tanto crudo realismo a creare grazie alla levitazione di Alice, un’atmosfera irreale, magica, nella quale il tempo si ferma e lo spazio perde consistenza e il dato reale si carica di una componente visionaria, allucinata, si trasforma in drammatico spettacolo. Una prosa lucida e piana, ma talvolta anche poetica, sa rendere visivi e concreti ambienti e personaggi, la cui essenza interiore trova nell’agire e nel dire il correlativo attraverso cui esplicarsi.

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