La musica di Ligabue, la filosofia e il mistero dell’essere

Emiliano Cheloni, insegnante di filosofia, ha scritto un saggio, “«Fare filosofia» con le canzoni di Ligabue”, in cui unisce due delle sue più grandi passioni. È un modo di trovare connessioni tra i linguaggi di ieri e di domani, di introdurre grandi pensatori attraverso simboli fortemente archetipici e i testi fortemente evocativi del cantautore

Le canzoni di Ligabue possiedono […] questo speciale potere creativo:
ricorrendo istintivamente ad un linguaggio simbolico arcaico ed universale,
nel quale la parola ed il gesto corporeo si fondono insieme,
il rocker di Correggio apre squarci sul mistero stesso dell’essere.

(E. Cheloni)

 

È una sera di dicembre. Fuori fa freddo, dentro pure (non ho mai avuto i riscaldamenti in casa!). La TV trasmette il nulla cosmico, l’aria del Natale si vede ma non si sente e il conto alla rovescia per la tanto attesa quanto famigerata pausa natalizia pare sfiorare l’infinito. La stanchezza è talmente completa che ne farei dono universale e, in questo scenario di noia di moraviana memoria, una domanda bussa fastidiosamente nella mia testa: «Ma le baite di montagna, quelle belle che si vedono nelle pubblicità con la marmotta che confeziona la cioccolata, esistono davvero?!?».

Annoiata, di default, scorro lo schermo del mio smartphone, ché sono così sfinita da non riuscire a leggere la pila di libri accatastata sul mio comodino, quando il mio occhio cade su un post di un noto social network: è in uscita un volumetto dal titolo «Fare filosofia» con le canzoni di Ligabue. Strabuzzo gli occhi, stavolta entrambi.

«Due tra le mie più grandi passioni nello stesso titolo?!? Che sarà mai?!?».

Trasalita, decido di contattare l’autore per capirne di più.

Uno strumento per veicolare saperi

Il contatto è immediato, fulmineo, diretto: Emiliano Cheloni, classe 1976, romano d’origine e calabrese d’adozione per qualche tempo, insegna Filosofia e, come me, ha una passione viscerale non solo per il cantautore – poi anche regista, scrittore, sceneggiatore – di Correggio, ma anche per il mondo classico, in particolare per la filosofia. Mi racconta che Ligabue è la colonna sonora che accompagna la sua vita ormai da anni e che, da tempo, nelle sue lezioni sperimenta un metodo “alternativo”.

«Perché in fondo» mi dice «nell’aria che fa il giro e becca i tuoi polmoni – chiaro riferimento a Il giorno di dolore che uno ha – io ci vedo l’archè di Anassimene».

Aggiunge poi che la musica di Luciano è stata catartica in un momento drammatico della sua esistenza e che, alla fine di questo pezzo di vita, quasi a suggello del suo rinnovato elan vital, ha provato a riordinare i pensieri sparsi su rock e filosofia: il risultato è, appunto, questo volumetto (186 pagine, 20 euro) edito da Accademia Edizioni ed Eventi.

È solo l’incipit di una telefonata fiume che, in uno scambio di pensieri e parole, si conclude nella richiesta, da parte mia, di avere una copia dello scritto e l’impegno di incontrarci presto a urlare insieme sotto e contro lo stesso cielo.

Cheloni non può saperlo, ma i filosofi e Luciano hanno aperto un varco tra di noi e a me basta questo suo aprirsi, così autentico e sincero, per svelargli che evidentemente c’è una linea sottile a unire le nostre esperienze che solo adesso, per la prima volta, si contattano, ma chissà da quanto tempo in contatto, magari in viaggio su un’onda comune, lo sono già non tanto perché ci avvicini la passione – non il fanatismo! – per lo stesso musicista, piuttosto perché entrambi lo abbiamo adottato quale possibile strumento per veicolare saperi universali e antichi quanto l’uomo. Anch’io, infatti, mi occupo da anni di formazione, nel mio caso andragogica ed esperienziale, anch’io recentemente ho citato Ligabue (anche Mary Poppins a dire il vero!) in un testo sulla formazione informale di cui sono co-autrice, ma soprattutto anch’io ho dovuto viaggiare dentro il dolore che ti spacca dentro quando la morte si affaccia nella tua vita. E poi perché finalmente trovo un prof di scuola che usa un metodo e un linguaggio simili a quello di noi formatori.

“Vuoi vedere che è la volta buona” mi dico “che sfatiamo qualche stereotipo?!?”.

Sette viaggi

«Fare filosofia» con le canzoni di Ligabue si snoda lungo sette percorsi, sette viaggi che affrontano altrettante tematiche cardine della storia della Filosofia – il cosmo, Dio, l’amore, il tempo, la verità, l’identità e la relazione – e ci introducono ad alcuni tra i più grandi pensatori (dai presocratici a Heidegger, da Platone e Aristotele a Gadamer, dai Padri della Chiesa a Merleau-Ponty) attraverso… i simboli, fortemente archetipici (il cerchio in primis), e i testi, fortemente evocativi, che Ligabue ricalca nei suoi brani.

Un limite

Inizio col dirvi che, da addetta ai lavori, il confezionamento del volume non è, a mio avviso, dei migliori: la mano di un editor e il lavoro di un editore più “presente” non avrebbero guastato nella realizzazione di quella che è – e rimane – una nobile intenzione. Da un punto di vista strettamente editoriale fatico a definire questo testo un libro: mi permetto di dirlo senza troppi giri di parole perché, se le recensioni servissero solo per incensare chi scrive o chi pubblica, non sarebbero d’aiuto né per costoro né per i suoi fruitori, e perché, per stessa onestissima ammissione dell’autore, lo scritto è stato auto-confezionato e manifesta i limiti di un quasi self-publishing. Il che è un vero peccato dato il guizzo ammirevole dell’idea sottesa alla stesura dell’opera, la quale – ahimè! – finisce per perdere d’intensità e incisività specie in alcuni passaggi del lavoro.

Un ponte di linguaggi

Tuttavia, al di là del vulnus che il testo porta con sé, ciò che in questo volume conta sopra ogni cosa è il profondo desiderio di un uomo, che per mestiere fa il prof di Filosofia e nel tempo libero ascolta Ligabue, di raccontare il tipo di attività che svolge quotidianamente in classe e, soprattutto, di veicolare un metodo di lavoro che chi vorrà potrà osservare e, magari, riproporre. E questa intuizione, a mio avviso importantissima, è il vero fulcro del lavoro di Cheloni: se vogliamo provare a costruire un ponte tra ciò che ci ha preceduto e le nuove generazioni, oggi più che mai tocca a noi “adulti” fare lo sforzo di trovare connessioni tra i linguaggi di ieri e quelli di domani, come a dire che in un mondo sempre più bombardato dalle immagini, quello che della parola sopravvive va valorizzato e interconnesso con “i classici” affinché si scopra, per dirla alla Calvino, che un classico si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani.

Il significato mai dogmatico dei messaggi

Quindi, anzitutto, Cheloni ci propone una metodologia formativa da esperire e financo ampliare nel contesto scolastico: che si chiami Luciano Ligabue o in qualunque altro modo, è importante rivestire di significato aperto e mai dogmatico i messaggi che si diffondono alla velocità del web, anche quelli più truci e orripilanti, perché non è facendo finta che non ci siano che li blocchiamo, areniamo o ne impediamo la diffusione, anzi, il più delle volte è proprio l’alone del mistero ad attirarci verso il perturbante delle storie. Parimenti importante è allenarsi a mostrare la continuità e la contiguità tra il passato e il presente perché, nel profondo, ogni classico racconta dell’uomo e l’uomo, che cercava Diogene, ma che nessuno di noi ha mai smesso, né mai smetterà, di cercare, nei suoi moti profondi cambia poco e, comunque, poco per volta.

Agganciare contenuto ed emozione

In secondo luogo questo esperimento tra il didattico e il narrativo ci racconta come s’impari molto più intensamente e perpetuamente laddove e allorquando agganciamo al contenuto l’emozione rispetto a quando ci limitiamo a trasferire nozioni. E, se fosse necessario ribadire l’ovvio, in tal senso l’arte tutta è vettore di emozioni: «La cultura […] è un prodotto dell’uomo: egli vi si proietta, vi si riconosce; questo specchio critico è il solo ad offrirgli la sua immagine» scrive Sartre e… come dargli torto?!?

Anche i prof sono uomini

In terzo luogo «Fare filosofia» con le canzoni di Ligabue di Emiliano Cheloni ci mostra che è importante, anche per un prof, non vergognarsi del proprio lato umano non solo perché essere un insegnante, di qualunque ordine, genere e grado, è un compito profondamente tale – e lo dico soprattutto a quei e per quei ragazzi che vedono i propri educandi come delle “macchinette giudicanti” che non aspettano altro che far piovere voti sul registro, così come a quegli e per quegli insegnanti che si trincerano dietro uno scudo di finta asetticità convinti che basti questo a garanzia dell’oggettività e dell’imparzialità delle loro valutazioni – ma soprattutto perché di umanità le anime sentono perennemente un instancabile bisogno di nutrirsi. Rivelare che anche gli insegnanti sono stati adolescenti alla ricerca di sé, che sono (e non solo sono stati) capaci di scatenarsi a un concerto, che sono vulnerabili, che temono anche loro i giudizi, cui sono costantemente sottoposti, che ridono, piangono, soffrono, mangiano, litigano, hanno bisogno di mamma, papà, degli amici, che prendono pure – pensate un po’! – l’influenza può avvicinare le “barricate” senza che questo faccia venir meno il rispetto dei ruoli e delle regole.

Confronto sul metodo

Cheloni, che dalle canzoni del Liga viene travolto per la loro generosità e autenticità, scopre “da grande” che l’immaginario poetico dell’universo rock ligabuiano risuona così in consonanza con la sua cultura e la sua spiritualità che – cito testualmente – «io stesso mi sono stupito di ritrovarmi sempre più sovente ad utilizzare spontaneamente simboli, metafore, pezzi di canzoni di Luciano per spiegare concetti e questioni filosofiche» e ce lo rivela in barba a coloro (forse molti, forse pochi… chissà!) storceranno il muso per questo stile poco ortodosso.

Chi vorrà, dunque, approcciarsi alla lettura di «Fare filosofia» con le canzoni di Ligabue sappia che si sta appropinquando a un testo in cui l’autore offre pillole di parallelismi tra filosofia e musica contemporanea per invogliarci a un confronto sul metodo più che sul merito e per capire se tale metodo non solo sia applicabile a più ampio spettro didattico, ma se effettivamente funzioni nell’attirare gli alunni, anche quelli più svogliati, a sperimentare la magia e la meraviglia che la ricerca, la scoperta e il sapere di non sapere portano con sé. E speriamo davvero che, con la scusa del rock’n’roll, i giovani e, perché no?, anche i meno giovani inizino a incuriosirsi e a leggere i filosofi!

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