#URAS. La lotta di classe dei fantasmi di Aviles Fabila

Tra narrativa di genere e riflessioni filosofiche lo scrittore messicano René Aviles Fabila, scomparso qualche anno fa, che mescola e spariglia nel suo libro “Le dimensioni della gabbia”: è lui il protagonista della nuova puntata della rubrica Un Racconto A Settimana

Titolo: Le dimensioni della gabbia
Autore: René Aviles Fabila
Editore: Edizioni Arcoiris
Stato: In commercio (2017)
Ebook: no

Aviles Fabila

Un fantasma può morire? Genererebbe, in quel preciso caso, un altro fantasma? No, per niente, altrimenti secondo un «principio maltusiano il mondo soffrirebbe di sovrappopolazione di spiriti, cosa che risulterebbe intollerabile ai vivi: non riuscirebbero mai a dormire sogni tranquilli». Spiluccando queste pagine di L’esistenza degli spiriti di René Aviles Fabila, un racconto tratto dalla raccolta Le dimensioni della Gabbia (edizioni Arcoiris), si avverte tutta la funambolica arte del mescolare e dello sparigliare dell’autore messicano, sempre in bilico tra i generi e tra le storie. Nel suo incedere ci sono gli ornamenti preziosi della narrativa di genere – mostri, fantasmi, strane creature, animali più o meno fantastici – e le considerazioni di stampo filosofico, religioso, storico e politico. Il tutto è offerto in forme di sentenze che mai si prendono sul serio, eppure rivelano spesso i risvolti della storia più di un manuale o di un saggio. E così, questo prezioso libretto affronta, con la stessa caparbia ironia, la rivoluzione di Satana (Ingiustizie celesti), speculazioni dotte sulla natura del soprannaturale e sulla sua riproducibilità (Un parto dell’altro mondo) e strani animali messicani (Il serpente-pene). In Aviles Fabila non c’è un delimitare netto e così appare del tutto naturale che una riflessione sui fantasmi (Sui fantasmi) – materia letteraria che dalle nostre parti è contraddistinta dal confinamento in un genere – possa debordare nella politica e nella storia. In America Latina, ad esempio, non ci sono fantasmi ma «esseri demoniaci, spettri, redivivi, anime, anime in pena, figure dell’oltretomba o defunti che ritornano (senza un motivo specifico) dall’aldilà». Possono persino acclimatarsi le streghe, gli incantesimi che provengono dall’Africa, i rituali dei nativi americani che si miscelano con la religione degli spagnoli, ma niente spazio per i fantasmi. Le ragioni? Semplice: i poveri contadini e gli operai, da morti, non avrebbero la forza di scoperchiare le proprie bare per «terrorizzare i capitalisti e i latifondisti che lo meriterebbero» e dall’altra parte ci sarebbero «cruenti proclami militari, repressioni brutali e sanguinose persecuzione politiche, ossia fatti quotidiani che tuttavia i fantasmi, per quanto spaventosi, non saranno mai in grado di provocare». Ma forse, e questa è l’opzione più piacevole, i fantasmi hanno bisogno di castelli freddi, tranquilli e lugubri per esistere, e anche di vittime aristocratiche o dell’alta borghesia. Perché i fantasmi, almeno loro, fanno la lotta di classe.

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