La mancanza e il ritorno alla vita, Borrasso tocca l’anima

Un libro intimo, profondo con una scrittura colta e matura. Ecco cosa è “Restare vivo” di Francesco Borrasso, memoir in cui non si tralascia nulla: la morte del padre per aneurisma, gli attacchi di panico e la depressione, i farmaci e le manie suicide. E anche il percorso verso la liberazione e la sopravvivenza…

«I morti non scompaiono, vanno solo da un’altra parte», inizia così la nuova opera di Francesco Borrasso, Restare vivo (164 pagine, 15 euro), pubblicato dalla casa editrice InSCHiBBOLETH nella collana Margini diretta da Filippo La Porta. Basta la copertina per capire la potenza di questo libro che non è un romanzo, non è invenzione, ma memoir. Tentare di restare a galla, di non affogare, mentre il dolore e la paura cercano in ogni modo di trascinarti giù, verso profondità sconosciute e inimmaginabili, fino a sfiorare il punto più abissale: la morte. Borrasso si mette completamente a nudo e ci racconta la sua discesa agli inferi, la risalita e il disperato tentativo di restare vivo. Dieci anni fa il padre è morto a causa di un aneurisma celebrale; più o meno nello stesso periodo ha iniziato a soffrire di terribili attacchi di panico e di una profonda depressione che lo ha portato ad un uso massiccio di farmaci e manie suicide.

Coscienza della morte e memoria

Per sei lunghi anni la sua vita è trascorsa in una dimensione sospesa: perde il lavoro, si allontana dagli amici, trascorre le giornate barricato a casa perché tutto ciò che è fuori fa terribilmente paura; le cose più semplici diventano insormontabili, come salire in macchina e mettersi alla guida. Inizia un percorso di psicoterapia lungo e faticoso che, inizialmente, non sembra dare grandi risultati: Francesco ha fretta di tornare a vivere, di uscire dal guscio in cui si è richiuso per proteggersi dal dolore.

Il primo passo è affrontare la morte del padre; il primo passo è prendere coscienza dell’evento morte a cui siamo spinti a pensare soltanto nel momento in cui ci tocca da vicino, quando diventa un’ombra che non smette di seguirci, una seconda pelle, qualcosa che si attacca addosso e non va più via. Prenderne coscienza, spesso, vuol dire farci stravolgere la vita. Borrasso ci accompagna dolcemente, delicatamente nei meandri della sua mente, tra i ricordi gioiosi dell’infanzia e quelli per nulla felici degli attacchi di panico e della scomparsa del genitore. Le sue parole trasudano nostalgia, malinconia e con tali parole ci spiega che non c’è separazione dai morti, semplicemente assumono forme diverse: la forma del viso dei sopravvissuti, delle espressioni e dei movimenti del corpo, del tono di voce. Sono forme tutti riconducibili ad un’unica cosa, la mancanza. Una mancanza così forte che diventa presenza attraverso la memoria e i ricordi.

[…] non lo sapevo che la paura poteva essere capace di togliermi le forze, di farmi soffocare il respiro nella gola, non sapevo che avere tanta paura potesse essere come sentirmi vicino alla morte.

 

Leggere e scrivere, le medicine

Come si può restare in vita in mezzo a tutto questo dolore che soffoca e stritola ogni centimetro di pelle, ogni sospiro dell’animo? Borrasso ci dà la risposta, la sua risposta: scrivendo. Immergendosi, scavando e cercando a fondo la verità. E, poi, leggendo libri che diventano posti preziosi, luoghi che lo proteggono.

I libri, leggere e scrivere, mi avrebbero salvato la vita.

La storia che ci racconta l’autore ha a che fare con il potere salvifico della scrittura e di tutta la letteratura che riescono a tirarlo da quella dimensione sospesa tra realtà e sogno e trascinarlo in mondi ancora più lontani, a farlo sentire più al sicuro di quanto potesse immaginare. I libri rappresentano il modo per non separarsi dal padre, ovvero da colui che gli ha trasmesso l’amore per le storie inventate e raccontate da altri. Poco alla volta, ritrova sè stesso e riesce a convivere con il dolore. La cura inizia dalla consapevolezza dei propri sentimenti ed è esattamente questo il messaggio che Borrasso vuole lanciare con il suo memoir: i libri sono strumenti che ci aiutano a metterci in contatto con la parte più profonda ed intima del nostro essere, ovvero con quei sentimenti che non sempre sappiano riconoscere ed interpretare. È da ciò che si genera la paura, ovvero dal sentire un’emozione e dal non saperla comprendere.

Catarsi contro traumi e conflitti

La bambina celeste, il suo primo romanzo, è la sublimazione della morte del padre, «un libro che mi sta aiutando a focalizzare i miei pensieri su un male solido che si può vedere e non su un male subdolo», scrive. Dopo dieci anni e dopo un lungo percorso, ha capito che è arrivato il momento di prendere per le corna questo dolore, di non girarci intorno e sfiorarlo soltanto o evitarlo come un fantasma: è arrivato il momento di raccontare la scomparsa di suo padre e tutto ciò che ha comportato, ovvero il conoscere da vicino la morte, talmente vicino da aprire una finestra, muovere una gamba e guardare nel vuoto. “Restare vivo” è la sua catarsi, il rito magico della purificazione per mondare il corpo e l’anima da ogni esperienza traumatizzante o situazione conflittuale, con un movimento tellurico che li scrosta dal fondo e li fa riemergere. “Restare vivo” è la liberazione, è la sopravvivenza

[…] se tu non fossi morto io non sarei mai diventato uno scrittore perché la mia materia narrativa è sempre stata un po’ la tua morte, il mio lutto che ho sviscerato, di cui ho parlato senza parlare, che ho usato in ogni frase, dentro ogni racconto, sempre di nascosto.

Borrasso sa che non si scrive solo per se stessi, ma anche e soprattutto per essere letti e ciò che non si aspettava è che qualcuno potesse salvarsi leggendo il suo primo romanzo. La sua salvezza, quindi, passa attraverso la salvezza degli altri e tutto sembra trovare un senso perché il dolore non è più morte, ma tornare a vivere, sentirsi vivo.

Parole da maneggiare con cura

Quando leggiamo una storia la abitiamo e chi legge Restare vivo deve maneggiare con cura le parole che contiene e di cui ci viene fatto dono. Chi vi s’immerge ha la sensazione di essere in apnea, di avvertire la mancanza d’aria che si prova quando tutto scorre troppo velocemente e ci travolge. È un libro intimo, profondo con una scrittura colta e matura non solo perché il tono di voce è perfettamente adeguato a ciò che ci racconta, ma anche perché l’autore ha atteso a lungo prima di mettere nero su bianco la sua esperienza di discesa agli inferi e risalita. Respirate a pieni polmoni, fate il pieno d’aria e immergetevi in questa storia che tocca l’anima.

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