Buttitta, seppellire le ambizioni ma non l’intelligenza

Linguaggio colto e pregnante, colmo di citazioni per Alessandro Buttitta, autore del romanzo “L’isola di Caronte”, che ci ricorda la caducità di tutto ciò che è terreno. Protagonisti, a Ustica, un becchino e un… morto (un giornalista scrittore); di mezzo un omicidio che forse non è tale…

L’isola di Caronte (152 pagine, 15 euro) di Alessandro Buttitta, pubblicato dall’editore Laurana, è un romanzo di formazione poiché, introducendo nel contesto della società attuale, suggerisce nello stesso tempo un modello di vita a cui adeguarsi. Nell’incipit dell’opera con funzione di frontespizio, viene riportato il Dialogo della moda e della morte, tratto dalle Operette morali di Giacomo Leopardi, al fine di porre subito il lettore di fronte al nucleo concettuale dell’opera: la caducità di tutto ciò che è terreno. Segue un’introduzione in cui la voce narrante riporta l’epitaffio a cui ha pensato per una tomba; ne consegue che tutta la narrazione si offre al lettore come un lungo flashback in cui progressivamente emerge la vita del defunto a cui il loculo è destinato.

Un funerale e una morte sospetta

Andrea Mangiapane, protagonista e narratore omodiegetico afferma che è «meglio seppellire le proprie ambizioni che essere seppellito con le proprie frustrazioni» (capitolo 2, pag.13), cosa che invece succede al coprotagonista-morto, Giuseppe Vella, scrittore e giornalista, per organizzare i funerali del quale, Andrea insieme ad altri becchini dell’agenzia di pompe funebre “Natural-Durante” si reca ad Ustica. Sebbene fornito di due lauree, il giovane Andrea ha dovuto contentarsi di tal modesto e lugubre impiego di novello Caronte, pur di entrare nel mondo del lavoro, tuttavia tale attività seppellisce solo le sue ambizioni, ma non la sua intelligenza che in questo caso specifico, ossia la morte di Giuseppe Vella diventa abilità investigativa che progressivamente gli fa comprendere come dietro la morte del giornalista, caduto a mare da una rupe, non ci sia un omicidio, magari di matrice mafiosa, considerato che la sua attività di giornalista lo induceva a scrivere anche della malavita, ma un suicidio: ha preferito essere seppellito con le sue frustrazioni, lasciando ai “posteri l’ardua sentenza, come recita Alessandro Manzoni nell’ode Il cinque maggio, a proposito di Napoleone Bonaparte.

Il mondo egoista contro la filosofia delle formiche

Il narratore attraverso l’esemplificazione delle vicende di vita del giornalista Giuseppe Vella che progressivamente, con notevole abilità, fa emergere attraverso brevi flashback dialogici o riflessivi, l’indifferenza e l’egoismo che caratterizza la società attuale, che tende a porre gl’individui uno contro l’altro armato, dimenticando la filosofia di vita delle formiche «che non mettono mai in discussione il loro mondo» (capitolo 33, pagina 104), poiché «nei loro formicai avevano accumulato le risposte di cui il mondo necessitava» (capitolo 22, pagina 69) e di questo dovrebbe divenire consapevole oggi l’umanità per evitare di autodistruggerci. Con un linguaggio pregnante, filosofico, colto che include anche citazioni di poeti, quali Ungaretti, Montale, Leopardi e dello stesso padre della nostra lingua, Dante Alighieri a cui fa riferimento lo stesso titolo del romanzo, Buttitta diletta e propone al lettore valori oggi spesso dimenticati.

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