Pazzia, poesia, umanità. I folli di Gabriella Montanari

Un romanzo denuncia sui manicomi, istituzioni che furono, ma non solo. Il romanzo “L’argatil” di Gabriella Montanari intreccia storie, con molte varietà espressive, uno stile che va di pari passo con il contesto e la realtà multiforme dei malati di mente…

Il romanzo L’argatil (408 pagine, 20 euro) di Gabriella Montanari, edito da Whitefly Press, già dal titolo rivela anomalia ed irregolarità, infatti tale termine è quello adoperato in genere dai pazzi dell’ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà di Roma, per denominare l’antipsicotico Largactil che veniva loro somministrato, ma l’irregolare pronuncia è anche la porta d’ingresso che consente al lettore di entrare nell’anormale mondo dei folli, nella loro vita quotidiana, nei rapporti che intercorrevano tra di loro e tra i medici e gl’infermieri, in quella terribile istituzione, oggi per fortuna abolita, che si chiamava manicomio, dove la cura della patologia spesso era intrisa anche di crudeltà, di rapporti erotici imposti e subiti.

Il caos di storie eterogenee

Anche la pluralità dei caratteri ortografici che mutano da capitolo in capitolo, nel libro di Gabriella Montanari, diventano espressione estetico-formale della pluralità confusa di eterogenee storie di vita che coesistevano nello stesso luogo, nello stesso modus vivendi, nella stessa cura punitiva che li vedeva spesso legati, immobilizzati nei loro letti ed annullati nella loro identità umana.

Il poeta e lo sdoppiamento dell’io

Quindi, in fondo, un romanzo denuncia di questa istituzione ormai, per fortuna, abolita da tempo. Tuttavia il romanzo di Gabriella Montanari non è solo questo è anche l’emergere della storia del Poeta, anche lui internato nel manicomio, che viveva una sorta di sdoppiamento dell’io per cui, per citare Pirandello poteva essere ed era «uno, nessuno e centomila» nello stesso tempo e, come per il protagonista del citato romanzo la sua vita «non conclude» e rinasce «nuovo e senza ricordi» ora come Maria Marchesi, ora come possibile altro ancora. Affidata la pubblicazione di una silloge inedita del suo alter ego Maria Marchesi ad una editrice, sarà questa a svelare la volontà del poeta di rinunciare ad ogni identità, ma non per abbandonarsi al fluire della vita, come Vitangelo Moscardi, il protagonista del citato romanzo, ma per cercare attraverso il mutamento d’identità una «rivalsa nei confronti del mondo culturale» considerato «quanto profondo fosse il suo “senso di frustrazione riguardo la propria esistenza» (pag. 386).

Lo stile coerente

Per essere più chiari, visto che i folli venivano spogliati della loro individualità, si può asserire che essi venivano considerati espressione di esplicita negazione del detto cartesiano cogito ergo sum, insomma la malattia mentale veniva considerata strumento di annullamento non solo d’identità dell’io, ma anche di umanità. L’autrice, anche dal punto di vista linguistico adegua le modalità e le varietà espressive a quelle dei malati, non escludendo neppure le forme dialettali e in questo modo, è possibile sostenere che anche lo stile nel suo insieme rispecchia il contesto e la realtà eterogenea dei malati mentali richiusi negli ex- manicomi.

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