I racconti di Orozco, fiammelle accese nel nulla cosmico

Nei racconti di Daniel Orozco raccolti in “Orientamento” c’è un nucleo originario di attimi incandescenti che, talvolta prendono un strada diversa da quella della prima intuizione. E ci sono un’infinità di stati, di storie e di attimi sospesi in cui sprofondare e riemergere istantaneamente…

È penetrato nel tessuto nevrotico dei nostri giorni con una serie di racconti che compongono la sua prima raccolta: Orientamento (186 pagine, 16 euro), tradotto da Emanuele Giammarco e pubblicato da Racconti editore.

Daniel Orozco non è facilmente etichettabile – e poi perché dovrebbe esserlo? – però nella sua idea di verità c’è una scintilla che ho conosciuto sia in Raymond Carver che in Mary Robison, un nucleo originario composto da attimi incandescenti che, talvolta, prendono una strada diversa da quella della prima intuizione e si allungano simultaneamente nello spazio, dentro ad un inarrestabile moto tellurico.

Dritto e rovescio di una psiche frastornata

La visione di Orozco si frammenta e si avvicina al dettaglio che si smarrisce cocciuto nel salto di una donna da un palazzo in ristrutturazione, nell’attimo di grazia di un escursionista caduto in un precipizio, nelle disperate divagazioni di un uomo prigioniero del proprio corpo. 

Queste storie sono fiammelle accese in mezzo al nulla cosmico in cui il nostro mondo si specchia e si deforma, sono il capovolgimento e la direzione, il dritto e il rovescio di una psiche frastornata e collettiva. 

Scrutano tra le infinite repliche di una società ammalata, robotica, ossessiva ed evidenziano, senza battere ciglio, il serial killer nascosto tra i colleghi d’ufficio, il sociopatico maniaco della perfezione che ci irretisce una sera, l’agente di polizia stordito dalla raffica di interventi che la radio di pattuglia non smette di vomitare.

Asportazioni dal reale

Sono tutte asportazioni dal reale quelle che Orozco attua e che poi dispone in successione perché ci venga più semplice cogliere la stortura, la dissociazione, la deviazione su cui abbiamo costruito i nostri luoghi, mentali e fisici, secondo una corrispondenza estrema e funzionale all’annientamento.

Viene così logico pensare ad un grande ufficio come ad un potente, traslucido, serbatoio di situazioni psicotiche messe in fila, una dopo l’altra, dietro la propria scrivania, dove quei fascicoli viventi degli impiegati aumentano la loro aggressivo-passività rinchiusi in anonimi box.

Ma noi che leggiamo, grazie a Orozco, siamo al contempo dentro e fuori da queste storie e ci muoviamo molto, percorriamo, impetuosi come un’onda sismica, molti chilometri in pochissimo tempo e abbracciamo la moltitudine cogliendola di sorpresa mentre si ingarbuglia nel proprio ménage quotidiano, senza giudizio, intenta ad esprimersi al massimo, ad arrabattarsi per sopravvivere.

La salvezza e il suo contrario

Nella sua essenzialità Orozco comunica però anche un’infinità di stati, di storie e di attimi sospesi in cui sprofondare e riemergere istantaneamente, bagni di una bellezza così sontuosa e folle da riequilibrare, secondo il meccanismo del contrappeso, l’aridità di una sentenziosità sociale che ci repelle ma a cui ancora ci prostriamo.

Ci offre, insomma, la salvezza e il suo contrario sullo stesso, luccicante vassoio.

Alza lo sguardo dentro un cielo notturno che è come perdersi in un abisso ribollente di stelle, i rubinetti celesti lasciati aperti e inceppati, e non è più in grado di ricordarsi nulla della vita vissuta finora

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