Arenas, la cieca repressione contro la naturalezza del vero

Opera imprendibile e fantasmagorica, “Celestino prima dell’alba” del cubano Reinaldo Arenas (inviso a Castro, perseguitato per l’omosessualità dichiarata), in cui uccelli e fulmini parlano, i bimbi volano, è possibile morire e dopo un po’ tornare. Un libro che non racconta una storia, ma descrive un mondo, con una scrittura senza freni e una narrazione che esplode di colori, pianti, imprecazioni e sogni

Il poeta combatte contro la repressione e il crimine, e la prova del suo trionfo è la testimonianza della scrittura che lascia. In queste lucidissime e chiarificatrici parole del prologo Reinaldo Arenas offre una chiave di interpretazione non solo a Celestino prima dell’alba, ma a tutta la sua opera, anzi a tutta la sua vita.

La scrittura trabocca

Essere poeta, per Reinaldo Arenas, non è la definizione di un’attività, essere cioè uno che scrive, ma di una condizione, quella dell’uomo che lotta contro ogni forma di coercizione, contro il giogo della famiglia, della comunità, della morale, dell’ignoranza, della povertà. Il poeta sfida ogni limite, decostruisce ogni regola, da quelle sociali a quelle fisiche. Scrivere è come respirare, dunque, un’urgenza incomprimibile, perciò Celestino, nel romanzo, usa ogni strumento per farlo, e se non ha fogli e inchiostro si serve di forbici, lame, incide tronchi, foglie. La scrittura non si può contenere nella pagina, si espande, trabocca nel mondo intero, è incisa nel corpo vivo della terra, chi vuole fermarla, come il nonno di Celestino, dovrà tagliare gli alberi, fare deserto, infine impoverirsi, pagare con la siccità e la carestia la propria ottusa prepotenza.

Fuga da Cuba e anticastrismo

Celestino prima dell’alba (220 pagine, 17,50 euro), oggi edito in Italia da Mar dei Sargassi, nella traduzione di Alessio Arena (di lui come autore abbiamo scritto qui e qui), esce a Cuba, patria dell’autore, nel 1967. Castro è al potere da pochi anni, e Reinaldo Arenas ha condiviso con entusiasmo la rivoluzione che ha abbattuto il regime di Batista. Ma ben presto le cose cambieranno, la campagna violenta del regime di Castro contro l’omosessualità porterà all’arresto di Arenas, omosessuale dichiarato, e alla sua reclusione nel carcere del Morro, per anni. Solo nel 1980 Arenas riuscirà a lasciare Cuba, andando negli Stati Uniti, dove userà ogni mezzo e cercherà qualunque occasione per combattere Fidel Castro e denunciarne le azioni liberticide e discriminatorie.

Fatti incredibili nella voce di un bambino

Celestino prima dell’alba resterà l’unica opera di Arenas edita a Cuba durante la vita dell’autore, che morirà suicida nel 1990, ormai gravemente malato di AIDS. Ed è un’opera fantasmagorica ed imprendibile. La voce narrante è quella di un bambino, che con naturalezza racconta fatti incredibili. I rapporti familiari sono segnati dalla violenza: il nonno, unico uomo della famiglia, non si separa mai dall’ascia, con la quale minaccia, mutila esseri umani, uccide animali, taglia alberi, la nonna e la mamma litigano e si offendono continuamente. Tutti, sempre, maledicono e insultano il bambino e suo cugino Celestino, unitosi alla famiglia quando è rimasto orfano.

Povertà e violenza

La povertà e la violenza pervadono la vita della famiglia del protagonista, caratteri distintivi della storia di Cuba nel periodo dell’infanzia dell’autore. All’oppressione dell’esistenza con le sue miserie reagiscono Celestino e il narratore, con la descrizione di un mondo fantastico, in cui tutte le regole del verosimile sono esplose: “Cosa facciamo adesso che sono finiti gli scarafaggi? – chiedo a Celestino, e allora lui si taglia un dito e me lo dà. – Sei troppo buono – dico io – Ma con questo non risolviamo niente. – E allora lui si taglia un braccio.”

Gli uccelli e i fulmini parlano, i bambini volano, streghe e folletti conversano con i personaggi, è possibile morire e dopo un po’ tornare ad agire nella storia del romanzo. “Stanotte ogni cosa mi sembra molto bella. Sarà che tutto è davvero così? O forse io vedo le cose diverse da come le vedono gli altri?”. Nella coscienza di questo sguardo consiste l’inizio della ribellione, la coscienza del narratore di non accettare il mondo com’è, come lo vedono tutti gli altri, “tutto quello che ho raccontato è solo immaginazione, io non ho visto niente”, dice ad un certo punto.

Nessuna coordinata spazio-temporale

Reinaldo Arenas dispiega una scrittura senza freni, chiede al lettore di lasciarsi andare tra le pagine come se si percorresse al galoppo un quadro di Dalì o un video dei Pink Floyd. Nel prologo Arenas definisce quello del romanzo un mondo selvaggio e anti-storico, infatti non c’è nessuna coordinata spazio temporale, ma la natura con la sua potenza primordiale è continuamente nominata, al punto che il libro ha un’appendice con i nomi di uccelli e piante citati, tanta è la loro mole e frequenza.

Non sono solo le leggi della fisica e della storia ad essere sovvertite nel libro, ma anche quelle della scrittura e della narrazione. La decostruzione del mondo agisce innanzitutto al livello delle convenzioni narrative, delle consuete norme del racconto. Pagine bianche che separano frasi cui non corrisponde alcuna interruzione di discorso, né suddivisione in capitoli, parole ripetute decine di volte nella pagina, personaggi che muoiono e riappaiono dopo vivi e vegeti, oppure che non invecchiano anche se la storia si estende per anni e anni, testo narrativo che all’improvviso, alla fine, assume la forma del testo teatrale.

Un mondo bambino

Surreale e informe, il libro di Reinaldo Arenas non racconta una storia, ma descrive un mondo. Non ha tempo, infatti, che è la coordinata che genera, appunto, la storia, ma esplode di colori, di pianti, di imprecazioni, di sogni. Nel primo volume della sua pentagonia (infatti Arenas scriverà altri quattro romanzi, che considera legati in un unico ciclo), l’autore porta il lettore in un mondo bambino, al di là di ogni principio di realtà, che sembra non significare nulla, ma dove, invece, il significato sta in ogni piccola scena, in ogni invenzione creativa. Ogni quadro rappresenta una potenziale metafora, un segno, ogni pagina un duello contro l’assuefazione al male, un volo per sollevarsi dalle paludi del verosimile, non del vero, perché vere sono le ali che portano in alto i personaggi, tanto quanto l’ascia che li minaccia e la clava che Celestino porta conficcata nel petto, la verità è incisa da Celestino negli alberi e nelle foglie, che il nonno abbatte e taglia, per evitare le offese del villaggio, fuggire la vergogna per quelle parole che né lui né tutta la sua famiglia comprendono, dato che nessuno di loro sa leggere. La crudele cecità della repressione, dunque, contro l’innocente naturalezza del vero. In mezzo, la vita.

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