Proust, il lungo sogno della Recherche

La Recherche è un lungo itinerario di formazione letteraria, un percorso di maturazione verso la piena realizzazione della sua vocazione. E, contemporaneamente, è la celebrazione dell’arte, più forte della vita. Rivivere noi stessi è la via che porta alla salvezza, o alla dannazione. Il capolavoro di Marcel Proust può aiutarci a scegliere, nel bivio, la strada giusta.

È comune subire il fascino del crepuscolo. È il momento in cui il giorno si ferma a guardarsi indietro, il giorno ormai invecchiato che nulla più si attende. Poi giunge, improvviso, l’assalto della notte. La stessa infinita notte insonne descritta nelle prime pagine della Recherche. 

L’intera narrazione di Proust, fluida e incessante, è, o potrebbe essere, il lungo vivido sogno di quella prima notte narrata nelle prime pagine, e in effetti il tempo, i luoghi, i volti, le emozioni, hanno in Proust la rapsodia del sogno. Rapsodica del resto è, per definizione, la narrazione cosmogonica, da Omero in poi: del resto, quale cosmogonia moderna è più compiuta di quella della Recherche? 

Un accordo infinito, la rapsodia del sogno

C’è in tutta questa sterminata opera un accordo infinito. Sappiamo che il progetto dell’opera di Proust è rimasto incompiuto per la prematura, ma prevedibile, morte dell’autore e che, quindi, le infinite nuance che lui inseriva via via nelle ripetute riscritture mancano negli ultimi libri. Ciononostante il suono della narrazione dell’inizio di Dalla parte di Swann è lo stesso suono del finale di Il tempo ritrovato. Come se tutto fosse scorso senza scorrere. Un lungo sogno, spiegato in migliaia di parole. All’inizio della Recherche si è già compiuto quello che ancora si deve compiere, e la sconfitta del tempo è già realizzata, sin dall’incipit. Sappiamo tutti che l’opera di Proust è un lungo itinerario di formazione letteraria, un percorso di maturazione verso la piena realizzazione della sua vocazione. E, contemporaneamente, è la celebrazione dell’arte, più forte della vita, unico specchio del mondo: la vita, secondo Proust, è una maledizione, seppure infinitamente bella, è la sposa crudele del tempo. Come si può amarla senza subire la condanna furente del consorte geloso, il tempo divoratore (per riandare alla mitologia greca)? La soluzione, come è noto, è nella traduzione creativa. Ma se, invece, la battaglia del tempo si vincesse vivendo quando lui non sembra scorrere, nella notte acronica? Si spiegherebbe così la rapsodia del sogno, lungo quanto l’intera Recherche: la vita non si consuma se anziché viverla decidiamo semplicemente di sognarla, avendo cura di trascriverne le trame al risveglio. O, naturalmente, al crepuscolo.

La digressione più vera e rivelatrice

Ho sempre cercato, tra le infinite digressioni proustiane, quella più vera, quella più rivelatrice, quella che più mi descrive. Eppure sono tutte egualmente vere: il Narratore sono io, parafrasando. 

Lessi la Recherche durante i vent’anni, un libro all’anno. Una lettura programmatica, la verità della scrittura che si manifestava pienamente in ciò che andavo vivendo. Avevo letto il primo libro tutto d’un fiato, nonostante la faticosa scrittura proustiana. Capii subito che era il libro della mia stessa ricerca o che, per converso, era talmente grande che mi ispirava nelle determinazioni della vita. Ero io ad assomigliare al Narratore o era il Narratore talmente convincente da imprimere la sua visione alle mie scelte?

E così decisi di diluirne la lettura negli anni, per capire di più o, al contrario, per evitare che appunto mi condizionasse troppo. 

Il tempo a venire già vissuto

Ancora oggi penso allo scherno del libraio dove acquistai il cofanetto: “ma non sei troppo giovane per cercare il tempo perduto?”. Mi aveva consigliato, giustamente, la traduzione, nuova per allora, di Giovanni Raboni. Eppure restava pur sempre un uomo con poca fantasia. Non sapeva che tutto il tempo a venire lo avevo già vissuto e che mi serviva una mappa per ripercorrerne il sentiero. E la trovai in quelle pagine. 

Alcuni anni più tardi, durante l’ennesima visione di C’era una volta in America di Sergio Leone, mi accorsi con stupore che il film, un lungo flashback malinconico, iniziava con lo stesso celebre incipit della Recherche: sono andato a letto presto la sera. 

Rivivere noi stessi è la via che porta alla salvezza, o alla dannazione. Il capolavoro di Proust può aiutarci a scegliere, nel bivio, la strada giusta.

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