Mazzucato, plumbea risuona la voce strozzata di un amore

Un lungo brivido di tensione, pur se spesso silente e strisciante percorre “L’uomo del morso e del sangue”, romanzo di Francesca Mazzucato, libro destabilizzate per chi legge e forse catartico per chi l’ha scritto. Protagonista una donna desolata, abituata a naufragare, alla prese con una tensione erotica e con un desiderio meschino…

Ci sono letture difficili da incasellare e soprattutto da metabolizzare nella maniera più consona, perché ogni libro richiede, a chi lo partorisce, energie e determinazione, ma a volte sento una responsabilità più stringente accingendomi a fare una recensione. Di fronte ad autori contemporanei, dall’indubbio talento, ma che in me generano (come in questo caso) una qualche perplessità, tendo all’estrema cautela.

A scanso di equivoci, L’uomo del morso e del sangue (90 pagine, 13,50 euro) di Francesca Mazzucato, edito da Readaction, è un romanzo di cui consiglierei la lettura, per gli stessi motivi per cui ne ho provato in parte un senso di ovattato disagio. Se rimaniamo sempre ancorati alle nostre zone confortevoli (in rigoroso autarchico italiano) non potremo mai misurare i limiti e le possibilità della nostra capacità di confrontarci, che è l’unico mezzo per poter sperare di riuscire a non rimanere impantanati nelle nostre gelatine di placide convinzioni.

Non c’è pace fra gli ulivi

Placatasi la furia del diluvio universale, una colomba consegnò a Noè un ramoscello d’ulivo, assurto a simbolo universale di pace. 

Non c’è pace fra gli ulivi, oltre ad aver dato il titolo ad un film italiano del 1950 appartenente alla corrente cinematografica neorealista, sta ad indicare che, neppure nei contesti apparentemente più tranquilli, si può mai albergare al sicuro da drammi e turbamenti.

L’uomo del morso e del sangue è ambientato quasi interamente nella pacifica Ginevra, ma il romanzo della Mazzucato è percorso da un lungo brivido di tensione, pur se spesso silente e strisciante come un serpente, che quando attacca non lascia scampo.

Non si è mai al sicuro in nessun posto

Dopo aver letto questa frase volevo porre, tra me e questo romanzo, una distanza che non potesse essere colmata, volevo riporlo nel cassetto dei ricordi introvabili, perché la verità brucia come un secchio d’acqua bollente, lacera i frammenti di pallide certezze accumulate in un’intera vita. Le granitiche verità, che ci siamo raccontati nelle sere di un malinconico Modugno (la canzone della Consoli è molto più bella del film di cui è colonna sonora) rischiano di volare via, sospinte dal vento delle ricordanze.

Occorre sempre però, nonostante i veli dipinti che a volte vorremmo porre fra noi e la presa di coscienza della realtà, affrontare i propri demoni, anche quando si palesano fra le righe acute di un libro destabilizzante.

Niente sarà più come prima

Se un filo rosso si può ritrovare all’interno del romanzo di Francesca Mazzucato è l’aver fatto assurgere il 2020 ad A.D.. Per l’autrice esiste un pre e un post pandemia, in cui gli anni cruciali di una emergenza mondiale sono, sottilmente ma inequivocabilmente, bollati come pieni di menzogne e provvedimenti inutili se non addirittura dannosi. 

Non posso esimermi dall’esprimere delle rispettose considerazioni.

Il Covid è stato un incubo, per tutti. Per chi non è riuscito a scamparla, per coloro a cui sono stati portati via gli affetti più cari, ma non solo, è stato devastante per un numero di persone incalcolabile. La pandemia ci ha stravolto, ci ha resi diffidenti, soli e solitari, tristi ed euforici a fasi alterne, in base ai bollettini di guerra che tutti con ansia spasmodica attendevamo ogni santo giorno. Non tutto è andato come doveva, lo sappiamo, ma, se io sono qui a scrivere e qualcuno forse mi leggerà, abbiamo un debito di riconoscenza verso chi ha operato scelte impopolari pur di salvare il salvabile.

Io credo che sia arrivato il tempo di ricomporre le diatribe, senza recriminazioni che oramai non aiuterebbero nessuno.

Penso anche però che, per l’autrice, L’uomo del morso e del sangue sia stata un’opera catartica, che l’abbia aiutata a riconciliarsi col mondo e con sé stessa, quindi ben venga il rigurgito di rabbia, soffocata in quei lunghi mesi in bilico perenne fra albe e tramonti, senza soluzione di continuità.

Su alcune cose certamente la Mazzucato ha ragione, e bisogna dargliene atto. È rimasta un’onda lunga di inedia, che speriamo il vento di un rinnovato entusiasmo per la vita possa spazzare via completamente.

Eros e Thanatos

Una tensione erotica pervade tutto il romanzo, ma come se il suo destino ineluttabile fosse quello di rimanere perennemente inappagata.

Un desiderio arso e a tratti meschino, perché alimentato da un Eros posseduto dal demone di Narciso, che si rispecchia in sé, nelle acque torbide della sua avidità e che respinge le profferte di un’affranta Eco, che rimane senza corpo in un estremo sacrificio d’amore, in cui quell’echeggiare infinito è il funereo canto di un sogno spezzato.

Risuona plumbea la voce strozzata di questo amore, che si nutre vorace di sé stesso, dei suoi vagheggiamenti che tradiscono ogni promessa e soffocano tutti i palpiti di vera bellezza.

C’era stata anche felicità

La protagonista scolpita dalla Mazzucato pare recitare la parte di una moderna e spregiudicata Anna Karenina, ma l’eroina di Tolstoj è impastata di carne, sangue e anima, nell’Uomo del morso e del sangue invece c’è la desolazione di una donna danneggiata, abituata a naufragare.

Nel rapporto fra la donna di cui non conosciamo il nome e l’uomo del morso e del sangue c’è tutto il sapore intenso ed inebriante dell’amore sospeso, accarezzato e mai afferrato. Mi ha ricordato, per una strana alchimia dei nostri labirinti mentali, la più bella e disperata storia d’amore che io abbia mai letto, racchiusa nel capolavoro di Vitaliano Brancati, Il bell’Antonio.

Catania e Ginevra fungono da scenari di amori che rimangono agganciati a un firmamento di eternità.

Antonio e Barbara vorrebbero amarsi, ma l’impotenza di lui rende quell’unione drammaticamente destinata a dissolversi. Antonio rimane inestricabilmente attaccato a quell’amore mai giunto a pieno compimento, come un soldato che dissipa la sua vita confinato in una cantina aspettando la fine della guerra, mentre il mondo è già tornato ad una primavera che lui non vedrà mai.

L’uomo del morso e del sangue è un treno che viaggia su binari lontanissimi dall’idea del parallelo, dove l’amore viene bruciato in una passione totalizzante, e la passione si lascia rivestire di sentimento per il tempo di un abbraccio, di un intreccio di sospiri che ricopra di illusioni la paura della morte.

Il segreto

C’è una frase contenuta in questo romanzo che, da sola, ne varrebbe la lettura:

I libri sono come sempre
la mia armatura contro
i lembi taglienti della realtà

La lettura salva la vita (ne sono assolutamente e visceralmente convinta), la traghetta verso orizzonti altrimenti irraggiungibili. Ci sono momenti, dal valore assoluto, quando autore e lettore si incontrano in un Iperuranio situato oltre il tempo e lo spazio, che costituiscono perle che non ingialliranno mai al contatto con la nostra pelle, intrisa del triste sudore dei momenti cupi.

Nel finale, L’uomo del morso e del sangue spiazza e in parte confonde, ma non del tutto, perché il libro è costellato di segnali che indicano (tipo insegne al neon anni ’80) che nelle ultime pagine qualcosa avrebbe sorpreso il lettore.

Un sapore amore, come il sangue evocato dal titolo, accompagna la chiosa di questo romanzo.

La Mazzucato è una scrittrice che ha tutte le carte in regola per essere apprezzata da un ampio pubblico e sono sinceramente curiosa di leggere altre sue opere, ma io continuo a pensare che Coco Chanel avesse ragione quando affermava che la vera eleganza consista nel sottrarre piuttosto che nell’aggiungere.

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