Solo chi muore sa cosa si prova, il Bataclan di Carrère

Comprendere è la parola d’ordine di Emmanuel Carrère, che per nove mesi va in tribunale per seguire il maxi processo al terrorismo che la Francia ha istruito per gli attentati del 2015. Il male e un conflitto insanabile in “V13”, volume di uno dei più autorevoli intellettuali contemporanei

Parigi, venerdì 13 Novembre 2015. Due ore trentotto minuti venticinque secondi, duecentocinquattotto spari a raffica poi, trentadue minuti un colpo per volta. Centotrentasette morti, circa quattrocentocinquanta feriti. “Voi bombardate i nostri fratelli in Iraq, in Siria, e noi siamo venuti a fare lo stesso con voi”.

Il V13 è il maxi processo al terrorismo che la Francia ha istruito dopo gli attentati multipli del 2015. Emmanuel Carrère, uno dei più autorevoli intellettuali contemporanei, per nove mesi, va in tribunale ogni giorno, “come altri vanno in ufficio”, spinto dall’etica spinoziana del non deridere, non compiangere, non condannare, ma comprendere. Il suo scopo non è la ricostruzione dei fatti, ampiamente documentata dai media, tantomeno accertare il movente, quello è stato dichiarato pubblicamente. Nemmeno la condanna dei colpevoli, la maggior parte dei presenti è manovalanza con vari gradi di responsabilità e i dieci componenti del commando sono tutti morti. Tutti, tranne uno.

Salah Abdeslam è l’unico superstite, la sua cintura esplosiva ha fatto cilecca. Errore, paura, pentimento? Solo lui può dirlo, ma cambia versione più volte. “Tutto quel che dite su noi jihadisti, è come se leggeste l’ultima pagina di un libro. Dovreste leggerlo dall’inizio.” È una delle sue prime, e rare, dichiarazioni e il cronista attento la coglie.

Un conflitto insanabile, che ha radici lontane. Per i fondamentalisti islamici siamo il male da combattere, siamo kuffar, infedeli destinati all’Inferno, per noi, loro sono un esercito nemico a cui non interessa la vita dei suoi soldati che, convinti di morire martiri, andranno dritti in Paradiso. V13 (267 pagine, 20 euro) – pubblicato da Adelphi nella traduzione di Francesco Bergamasco – non è solo la raccolta, rielaborata, degli articoli pubblicati da Emmanuel Carrère, ma è anche e soprattutto il racconto corale di una tragedia collettiva.

Le vittime, parte civile. Gli imputati, poco più che adolescenti goffi e idealisti, alcuni fuori di testa, altri lucidi e indottrinati, si considerano in stato di legittima difesa. La corte, chi si prende la responsabilità di giudicare e di infliggere le pene.

I morti sono tutti uguali, meritano tutti lo stesso dolore, la stessa indignazione, la stessa pietà.

Il “danno da lucida agonia” è davvero quantificabile? Chi è risarcibile? Nessuno sa cosa prova chi sta per morire, solo chi muore lo sa.

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