Matteo B. Bianchi, per affrontare i dolori occorre condividerli

È un’opera lenitiva “La vita di chi resta” di Matteo B. Bianchi. Vent’anni dopo l’autore rievoca il suicidio del compagno, in un concentrato di dolore, cadute e riscatti. Senza camuffare debolezze e sofferenze, rimettendo in marcia la vita…

Definirlo un libro taumaturgico è eccessivo: non ci troviamo di fronte ad un’opera miracolosa. Ma lenitiva sì, questo bisogna ammetterlo. La vita di chi resta (252 pagine, 18,50 euro) di Matteo B. Bianchi, edito da Mondadori, è un concentrato di dolore, confessioni, riscatti, ricadute, silenzi e rilanci. Vent’anni, come ci informa lo stesso autore, sono stati il tempo necessario per riuscire a raccontare una vicenda drammatica, nascosta ai più lungo due decenni: il suicidio dell’ex compagno, che ha prodotto una lacerazione dell’animo e una ferita che ha necessitato di uno sforzo notevole perché si rimarginasse, imparando forzatamente a conviverci.

Un’angoscia messa a nudo

Matteo B. Bianchi ripercorre i terribili momenti che hanno sconquassato la sua vita, i sensi di colpa, la disperazione, la ricerca di un aiuto per superare un lutto inspiegabile, improvviso, traumatico. Amici, psichiatri, medium: a chiunque ha chiesto un sostegno, un qualcosa che gli consentisse di ritornare a vivere dopo un’esperienza del genere. Le pagine traboccano di questa angoscia, l’autore non si nasconde, si mette anzi completamente a nudo, talvolta in maniera anche troppo ripetitiva, se proprio bisogna muovergli un rimprovero.  Non camuffa le proprie debolezze, quel mal di vivere per un evento, il suicidio di una persona cara, rispetto alla quale esisteva – e tuttora esiste – una inspiegabile reticenza a volerne parlare.

Il dolore che si trasforma

Ecco che allora il libro dello scrittore milanese prova a squarciare questo silenzio, cosciente che certi traumi sono aggredibili solo se condivisi, affrontati, sviscerati. Il dolore non scompare, ma si trasforma. Dalla sofferenza possono generarsi nuovi lampi di luce, l’esistenza può e deve rimettersi in marcia. Come è scritto negli ultimi fraseggi del testo “…ad un certo punto devi concederti di andare avanti”. Ma soprattutto (e solo per questo Matteo B. Bianchi andrebbe abbracciato forte) “devi perdonarti”.

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