Gli ambiziosi siciliani d’America, il rivugghio che lascia Barbàra

“I Malarazza” di Ugo Barbàra è un viaggio attraverso la fame di vendetta, la feroce ambizione che manipola uomini e pensieri e conduce al fulcro di quella fierezza siciliana il cui potente riverbero risplende in ogni pagina di questo bellissimo romanzo, in cui si parla la lingua dei mischinazzi e quella dei newyorkesi. La famiglia dei Montalto sbarca a New York indossando abiti sartoriali e sorrisi di circostanza…

«Se non avesse ammazzato mia madre, mio padre sarebbe stato un buon padre»

Ha inizio così l’epopea de I Malarazza (496 pagine, 19 euro) di Ugo Barbàra per Rizzoli, primo capitolo di una trilogia che attraverserà i secoli alla ricerca di un’agnizione che faccia luce sul drammatico epilogo, ripercorrendo i sogni e le battaglie di una grande famiglia siciliana: i Montalto.

Quando il mondo era diviso in surci e cutrara

La Sicilia del 1860 e il fermento garibaldino fanno da sfondo alle prime e decisive scelte di Antonio Montalto, uomo solido e fascinoso, proprietario terriero, produttore di vini e grande visionario.
La piccola realtà di Castellammare del Golfo, cittadina in provincia di Trapani, divisa tra i liberali, che aspettano l’arrivo dei Savoia e i cutrara, di fede borbonica, diventa il luogo da cui scappare per aver salva la vita e per ambizione.
Difficile però vincere la sorda ostinazione di Rosaria, moglie ferrigna e dall’animo indomito, che nel suo paese ha costruito una fiorente spezieria, un redditizio scambio di prestiti e la sua reputazione.
Ma Antonio Montalto aveva molto di più di un progetto per il futuro; aveva una visione.

Dai bui vicoli di Manhattan a Washington Square

Il cammino verso il futuro agognato passa per l’oceano e approda ad Ellis Island, dove l’eterogeneo consorzio umano stringe a sé visti d’ingresso e sogni di redenzione.

Sono in pochi a scendere la passerella dalla parte dei privilegiati, e ancora meno lo sono quelli di origine italiana. I Montalto fanno eccezione e sbarcano a New York indossando abiti sartoriali e sorrisi di circostanza.
In poco tempo pongono le basi del loro impero americano e nella danza dell’ambizione, tra cene e strette di mano, dimenticano man mano chi davvero sono. «È questo che siamo diventati? Le ambizioni hanno preso il posto dei sentimenti?».

La commedia universale recita sempre lo stesso copione: così in Sicilia, come in America, i ricchi hanno il passo veloce dei progetti realizzati e i poveri gli occhi bassi dei vinti.
Dal prestigioso Washington Square ai miasmi dei tenement del Lower East Side, dove vengono stipati migliaia di immigrati, il grande sogno americano svela il suo bluff.

Destini intrecciati

Attorno ai Montalto ruotano le vite di Bianca, di Nicola e del malacarne Rocco Trupiano, di Vincenzo Rizzo e sua moglie Vinzia, ognuno perso per la propria strada, nel proprio dolore e tutti tesi a rincorrersi per odio, per amore o semplicemente per seguire il filo deformato della malasorte.
Nicola e Rocco si troveranno avversari nella vita e nella guerra, spinti da un animalesco desiderio di vendetta che animerà la storia di una sottotrama ricca di pathos. Bianca, la proietta di Donna Rosaria, imparerà a gestire la sua libertà e i fantasmi del passato e in terra siciliana Vincenzo, abile a gestire le terre dei Montalto e i suoi nuovi possedimenti, scoprirà il peso che grava su un piccolo e chimerico appellativo: Don.

Personaggi muscolari che spiccano nitidi nel mare d’inchiostro intrecciando i loro destini con figure storiche come Giuseppe Bixio, Lincoln o il generale Lee in un continuum narrativo coerente e ben strutturato.
Il racconto diventa sempre più polifonico, corale e, alternando voci ed emozioni, traccia il solco di una travolgente epopea che affonda le proprie radici letterarie nel realismo siciliano, ma vive nel presente e rivela uno spiccato gusto cinematografico.

Preciso nei risvolti storici e dettagliato nel delineare la topografia dell’emigrazione italiana, Ugo Barbàra, giornalista e raffinato narratore, ci consegna un romanzo corposo, accattivante, dotato di un’architettura narrativa imponente e solida in grado di parlare la lingua dei mischinazzi e quella dei newyorkesi, lasciando al lettore un oscuro rivugghio.

«Non dobbiamo dimenticare da dove veniamo perché è a lì che deriva quello che siamo»

 

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