Stefano Terra, la morte come malinconia del passato e del futuro

Uno speciale romanzo fuori dal tempo, vincitore del Campiello nel 1974, e adesso meritoriamente recuperato. “Alessandra” di Stefano Terra è una storia d’amore vissuta in età matura, una riflessione sullo scorrere del tempo e sulla morte, che aleggia in ogni pagina…

Quasi mezzo secolo è trascorso dal Campiello vinto da Stefano Terra, allora importante autore della casa editrice Bompiani. Nel 1974 il suo romanzo Alessandra sbancò il premio veneziano. Non sarebbe stato il suo ultimo successo di livello, visto che nel 1980 sarebbe arrivato anche il premio Viareggio.

Lontano dall’Italia e dalla società letteraria

Nato nel 1917, a Torino, e scomparso nel 1986 a Roma, Giulio Tavernari, questo il nome all’anagrafe di Stefano Terra, lavorò a lungo come giornalista, anche per la Rai, soprattutto dall’estero, in particolare dalla Grecia e dal Medioriente. Alla scrittura giornalistica affiancava quella di poesie e romanzi, spesso con risonanze autobiografiche. Negli anni Settanta sarebbe sembrato impensabile che il nome di Stefano Terra (che aveva come agente letterario il mitico Erich Linder) si perdesse nell’oblio, ma è andata proprio così ed è una gran fortuna che il romanzo con cui si impose al Campiello, Alessandra (192 pagine, 18 euro), torni adesso grazie al marchio Gammarò di Oltre edizioni, in un bel volume con postfazione di Diego Zandel. Stefano Terra aveva scelto di vivere lontano dall’Italia, in Attica; e comunque di rimanerne distante sul piano intellettuale, non affiliandosi a nessuna parte, non aderendo a mode, scuole, consorterie.

Prosa poetica, intreccio calamita

La prima cosa che si impone di questo libro è la scrittura, che trasuda nostalgia e lirismo ed è costruita con frasi corte che sembrano soffi di poesia. Nulla di barocco o di eccessivo, per giungere al nocciolo di alcune questioni eterne: lo scorrere del tempo, il dispiegarsi dell’esistenza, e il senso dell’amore, soprattutto di quello maturo, da terza età. L’evocazione della Grecia, di Rodi in particolare, è magistrale. E l’intreccio narrativo ha l’effetto di una calamita, con qualche incursione nel passato. Protagonista un diplomatico a Rodi, già avventuriero e reporter, e il suo amore, perduto, ritrovato, e ancora perduto per la moglie Alessandra: li seguiamo in età avanzata, quando a lui sembra di rivedere lei nell’isola, a dieci anni dalla sua scomparsa, e poi riceve una lettera di Alessandra, che presto lo raggiungerà da Odessa. L’uomo comprende che qualcosa non va, non semplici rimpianti, né stanchezza, forse una malattia, non una semplice malattia…

Rabbrividisco indietreggiando e capisco di colpo come Alessandra conti soltanto su di me per tutto ciò che le rimane nella vita, i ricordi e tutto il resto, compresa l’idea fissa della cremazione.

Fuori dal tempo

Il resto del romanzo è volutamente, magistralmente, impalpabile e sfuggente. La morte – nella forma di una malinconia per il passato e per il futuro – aleggia e irrompe sulla fragilità, fisica e morale, dei due protagonisti. Una storia che finisce per andare fuori dal tempo.

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