Una storia che non ci appartiene, il racconto audace di Carucci

Dopo “La luce di Akbar”, Navid Carucci prosegue la storia della dinastia Moghul in India raccontando, con “Dietro le colonne”, due anni alla corte del grande imperatore Shah Jahan, e lo fa adottando il punto di vista del Sole della corte, la figlia primogenita dell’imperatore, Jahanara, una donna disposta a sacrificare tutto per provare a salvare l’impero…

Raccontami, nutrice, di città favolose e di persone straordinarie. Raccontami dell’acqua dei fiumi, del sole che secca la pelle e del gelo dei valichi montani. Raccontami di chi ha preceduto i nostri passi.

Se è vero che un libro si riconosce dall’incipit, Dietro le colonne (407 pagine, 22 euro) ha un incipit fulminante di poesia e promesse.

Grazie a Navid Carucci torniamo nell’India della sfavillante corte Moghul, in un momento fondamentale per il futuro della dinastia e tutto il Subcontinente, quando la malattia dell’imperatore Shah Jahan genera un vuoto di potere che porta i figli a scontrarsi per la successione.

Il punto di vista assunto dal narratore è quello di Jahanara, primogenita dell’imperatore, sorella devota dell’erede al trono, Signora dello Zenana alla morte di sua madre. Questo significa che Jahanara si occupa della famiglia, dei matrimoni dei fratelli e dei nipoti, del ruolo delle sorelle all’interno dello Zenana, definisce i rapporti interni della corte, ne condiziona l’orientamento culturale e in parte quello religioso.

Rivestire il ruolo “Sole” della corte Moghul, significa per Jahanara la rinuncia alla sua vita privata, al matrimonio e alla maternità. Consapevole del sacrificio, la sua missione è conservare l’armonia e la pace nell’impero, controllare le potenze che si affacciano sempre più prepotenti all’India con traffici commerciali e interferenze militari.

Desideri e ragion di Stato

Jahanara è raccontata come una donna, in eterno conflitto tra ciò che è il desiderio della sua persona e ciò che è giusto per l’impero. In una continua tensione emotiva, Jahanara ha un dialogo costante con le donne della sua vita secondo due direttrici principali. Una prima direttrice è il dialogo con le donne sue contemporanee, le sorelle che ne contendono il potere, tentano continuamente di minarne l’autorità, cercano di delegittimarla agli occhi del padre e dei fratelli. Jahanara assume nei confronti di queste donne un atteggiamento di superiorità che sia per disprezzo o l’accondiscendenza derivata dalla sua anzianità. La tensione dialettica con queste donne è cifra rilevante del romanzo.

Una seconda direttrice è il dialogo interiore e trascendente con le donne che l’hanno preceduta, la nonna, la zia, la madre. Tutte nella posizione di Signore dello Zenana, queste donne ormai scomparse rappresentano per Jahanara il riferimento morale ed etico, la strada per trovare conforto e consiglio. La connessione spirituale con le antenate è stabilita attraverso i luoghi loro dedicati, come i monumenti funebri, o più semplicemente nella comunione con la natura, guardando la luna o una notte stellata. Sono le antenate a fornire a Jahanara i riferimenti valoriali per procedere nel suo ruolo. Immaginando di dialogare con la madre, Jahanara rivela la profondità del sentimento materno che si esprime oltre il concepimento, la gravidanza e il parto. Jahanara si identifica come la madre della corte, il riferimento di equilibrio che persino il fratello Arangzeb, cui lei si oppone, riconosce come autorità inappellabile oltre gli intrighi di corte.

Tra queste due direttrici si inserisce la figura della nutrice, la donna che Jahanara considera il suo sostegno, la persona che meglio la conosce. È a lei che Jahanara si rivolge nell’incipit, è a lei che chiederà costante giuda e sostegno. È la nutrice che non sosterrà l’urto della Storia. La nutrice costituisce un ponte tra la sorellanza e la maternità, tra l’orizzontalità del presente e la verticalità della discendenza dal passato. Personalmente, ho trovato questo personaggio incantevole, forse il più riuscito del romanzo.

Il tratto più coraggioso

La costruzione delle relazioni tra le donne risulta, a mio parere, il tratto più coraggioso del romanzo di Carucci – pubblicato dalle edizioni La Lepre – che racconta in maniera delicata la sensibilità della donna, dalla femminilità alla maternità, senza pretendere di definire dimensioni precise o fornire chiavi di lettura precostituite e stereotipate.

Il piano di lettura storico porta alla ricostruzione attenta ed estremamente precisa dello scontro sia politico che militare tra i figli di Shah Jahan.

Carucci conduce una analisi dettagliata ed estremamente precisa non solo sul piano evenemenziale, ovvero delle battaglie e dei momenti identificati come di snodo storico, ma racconta in maniera chiara le dinamiche interne ed esterne alla corte e che hanno condotto all’epilogo con la vittoria di Auragzeb, il figlio non destinato alla successione, una successione che ribalta lo spirito ecumenico e tollerante dell’Impero Moghul come concepito da Akbar, portandolo ad una preminenza dell’Islam e marginalizzando le altre confessioni religiose.

Il piano di lettura meta storico conduce all’analisi della condizione della donna nella Corte Moghul del XII sec. Per quanto abbia un ruolo riconosciuto, l’azione della donna è limitata ad un ambito specifico e può esprimersi nei tentativi di influenzare i decisori. Il potere femminile non è riconducibile all’autorevolezza della donna, ma riconosciuto in quanto concesso dal potere dell’Imperatore.

Quando Jahanara incontra un avventuriero inglese, questi la paragona alla grande Elisabetta I perché entrambe donne potenti, le più potenti dei loro continenti, entrambe votate a quella che chiameremmo “ragion di Stato” alla quale hanno sacrificato la vita privata.

Il cambiamento incompiuto

Emerge, però, una profonda differenza tra le due figure storiche: Elisabetta è potente in quanto regina che ha combattuto a Corte per il potere; Jahanara è potente in quanto riconosciuta come tale dal padre prima e dall’erede al trono poi. Tale potere octroyé impedisce a Jahanara di imporre la sua visione politica e sociale. Jahanara intepreta il potere in maniera diversa, lei non impone la propria visione, ma la dirige e prova ad educare la corte. Proprio qui trova senso il sottotitolo del romanzo La principessa Moghul che poteva cambiare il mondo, nel suo restare nella prigione dorata dello Zenana, l’impossibilità di valicare i confini del palazzo, la necessità di dover acconsentire alla volontà del vecchio padre, un uomo logorato dal potere, dalla malattia e dai suoi stessi vizi, impedisce alla Principessa di imprimere alla Corte Moghul e all’Impero quel cambiamento e quell’apertura filosofico-religiosa che avrebbe costituito il continuum con la visione di Akbar e che sarà schiacciata dal tradizionalismo islamico di Auragnzeb.

Secondo la visione assunta dallo scrittore, l’Impero avrebbe trovato continuità in Jahanara, naturale erede della cultura Moghul.

La visione del potere secondo Jahanara è in contrapposizione con la visione patriarcale di un potere fondato sulla violenza, sulla lotta e sulla conquista, per lei il potere è una forma di direzione esercitata attraverso il dialogo, la diplomazia, la negoziazione. Il punto di forza della poetica di Carucci è la capacità di porgere la Storia senza forzare una rilettura con la lente della contemporaneità il ruolo della donna.

La dimensione erotica

Non trascurabile nel romanzo è la dimensione erotica. In un contesto di (relativa) volontaria abnegazione e rinuncia alla propria dimensione sessuale con la privazione del matrimonio e quindi del sesso, il desiderio si dirige verso altre donne, donne subalterne, donne socialmente inferiori. A proposito della subalternità, Carucci restituisce chiaramente la dimensione di classe e il ruolo all’interno dello Zenana. Le schiave sono tali, le serve sono tali, le prostitute sono tali, nessun filtro, nessuno sfugge al destino definito dalla nascita, che sia una principessa imperiale o una ragazza senza famiglia costretta a vivere come può.

Mi resta difficile restituire, in questo tentativo di recensione, la complessità del romanzo di Carucci che, ancora una volta, dimostra la capacità di leggere la storia e interpretare modelli consolidati come segni della loro evoluzione. Come per La luce di Akbar (qui l’articolo), la scelta del linguaggio è precisa ed estremamente coerente con il periodo storico e con il contesto. La conoscenza che Carucci ha della storia e della cultura Moghul sconfina nell’accademico e permette di costruire un affresco preciso, senza trascurare le sfumature degli anime dei suoi personaggi. Ancora Carucci riesce a dare rilievo ad ogni personaggio che sia un protagonista o un personaggio secondario e questo lo fa attraverso l’occhio di Jahanara che è appunto il Sole della corte, come per il Sole tutto attorno a lui gira, così leggendo assumiamo il punto di vista del Sole-Jahanara e vediamo agire le altre e gli altri in relazione a lei e secondo lo sguardo che lei poggia su di loro.

Considerazione personale, da lettrice, visti questi due capitoli, io spero che Carucci prosegua la sua opera perché è raro trovare scrittori italiani in grado di raccontare in modo così audace e consapevole una storia che non ci appartiene.

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