Odile Cornuz, anatomia di una violenza psicologica

“Fucile” è il primo romanzo della poetessa svizzera Odile Cornuz. La protagonista è al secondo matrimonio, ma presto la passione cede al passo all’abitudine: tra cuori vulnerabili e relazioni tossiche, si corre verso un finale lirico e liberatorio…

Leggendo Fucile (166 pagine, 18 euro), Gabriele Capelli editore, l’esordio al romanzo di Odile Cornuz, poetessa e scrittrice svizzera di lingua francese, uscito oggi, può anche venire in mente la celebre frase presa da uno dei capolavori di Tolstoj, Anna Karenina: “Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”, benché ciò che racchiude tale iconico assunto non sia che una delle chiavi di lettura del volume.

Universalità

Lo sfondo è un’anonima località svizzera in un non meglio specificato anno della fine del secolo scorso. Ai protagonisti non è attribuito volutamente un nome ma sono semplicemente contrassegnati come “l’uomo”, “la donna”, “la bambina”, quasi a voler denotare simbolicamente l’universalità di una storia nella quale ognuno, almeno in parte, si possa  rispecchiare.

La storia parla di una donna la quale dopo la fine del matrimonio da cui è nata “la bambina”, e del quale si intuiscono i dettagli nel capitolo iniziale (prologo) instaura una relazione con un altro uomo dal quale scaturirà un nuovo matrimonio. La vita della nuova famiglia scorre negli anni in una placida quotidianità segnata da gesti e eventi abitudinari come un picnic nel bosco, una nuova casa come territorio di una nuova vita e nuovi orizzonti, mentre il passato affiora a sprazzi, come il futuro con le sue promesse e i suoi foschi presagi. I rituali domestici, i giochi con il cane, le cene, i silenzi, la routine e le serate sul divano davanti alla televisione segnano il passaggio dalla passione iniziale all’abitudine, con una tensione strisciante che sfocia nell’esplosione della crisi, in una sorta di coazione a ripetere, quasi a voler dire che le cose che ci facevano stare bene sono destinate a diventare irrimediabilmente la copia originale di quelle che ci facevano stare male.

Capitoli come vasi comunicanti

Originale è la struttura del romanzo, con il suo approccio quasi minimalista. Sono trenta brevi capitoli preceduti da un prologo e seguiti da un epilogo, ognuno dei quali è contrassegnato da un disegno stilizzato che rappresenta gli oggetti del quale nell’indice è specificato il significato. I capitoli sono vasi comunicanti nel quale sono gli oggetti a dettare il ritmo del racconto e a comunicare gli stati d’animo e l’evoluzione dei personaggi e della narrazione. Gli episodi dei singoli capitoli si legano emblematicamente agli oggetti che li contraddistinguono: un vasetto dove la bambina mette dei girini segna l’inizio della storia di amore tra l’uomo e la donna, il taglio di un nastro da sarto segna l’auspicato inizio di un percorso di emancipazione della donna, una semplice moneta che l’uomo chiede alla donna per il caffè costituisce l’inizio della deflagrazione del rapporto tra i due e allo stesso tempo segna una presa di consapevolezza da parte della bambina : “la bambina non capiva meglio il mondo, ma affinava il suo senso della minaccia”. Un monopattino distrutto in tal senso diventa emblematico, come il guinzaglio del cane nel cui capitolo si esplicita l’evolversi drammatico e doloroso della relazione tra l’uomo e la donna, simbolizzato del resto dal fucile di cui al titolo che fa la comparsa all’inizio e alla fine del romanzo, la cui minacciosa presenza è funzionale allo svolgersi delle vicende. Oggetti come materia grezza che diventano significativi e punto di partenza per la costruzione dei capitoli, dei personaggi e di una vicenda che è una storia di violenza psicologica in seno a una famiglia, una sottile tensione che progressivamente si trasforma prima in disagio nella donna e nella bambina per la subdola sopraffazione dell’uomo nei loro confronti e poi in paura per il timore di una violenza pronta a esplodere.

Minima commedia familiare

Sono questi gli effetti della ricerca di un amore riparatore da parte della donna, “un amore piatto”. La lettura di lui di Il vecchio e il mare di Hemingway durante una vacanza, le reiterate domande sul dove andare in vacanza, che musica mettere, le banali liti per una moneta per il caffè mentre la bambina osserva quello strano mondo degli adulti e i rimproveri impliciti del narratore onnisciente danno un connotato cronachistico a questa minima commedia familiare: “Erano così pallose le vacanze in famiglia” e lei (la donna ndr) “Aveva davvero scelto quell’uomo? Più che altro, per finire, era stato lui a sceglierla. Lei ormai a quella danza della seduzione, all’amore chiaro e semplice, aveva smesso di crederci”. Lui aveva semplicemente aperto una breccia nel suo cuore vulnerabile e lei in qualche modo aveva acconsentito a quell’unione per rassicurare i propri genitori. La passione sembra così lontana da queste latitudini. Questo sconsolante mondo degli adulti nella sequenza dei capitoli-oggetto è spesso rappresentato tramite lo sguardo della bambina che intanto sta diventando un’adolescente e la quale si domanda se gli uomini siano tutti così, rivolgendo delle interrogazioni alla scultura tribale appesa nella sua cameretta che assume in uno dei brevi capitoli la funzione di sua amica immaginaria, e alla quale chiede di portarla via da lì.

Presa di coscienza

Lo sguardo delle donne, sia esso quello di una donna ormai adulta in cerca di riscatto e affrancamento da una relazione tossica, sia quello di una bambina che si affaccia al mondo e alle storture della vita dei grandi è uno dei dati più caratteristici del romanzo della Cornuz, nel quale può irrompere anche il grottesco, come accade con il ritrovamento di un Dizionario delle espressioni gergali e colloquiali da parte della bambina, la quale da quei termini nuovi e fantasiosi scoprirà che “c’era di che vivere e c’erano parole per dirlo”, o  con l’uccello morto trovato nel congelatore che non rappresenta che un’ulteriore metafora di quel vago senso di minaccia esemplificato dal fucile di cui al titolo. La minaccia dell’arma, retaggio di un passato che la donna pensava per sempre cancellato va di pari passo con le sue ansie, le incertezze, con le oscure sensazioni e le sue domande su quella relazione malata, con la progressiva consapevolezza che quell’uomo con “la tecnica del parassita” (molto bello uno dei brani finali nel quale ciò viene esplicato) la stesse ingabbiando, e con il suo stesso stupore nello scoprire come avesse potuto accadere “che quell’uomo avesse potuto coincidere con il corpo che si trovava due piani più su, calato nel divano di pelle davanti al televisore, era sintomo di un angolo morto sensoriale”, fino a una sua decisa e coraggiosa presa di coscienza per un finale lirico e liberatorio nel quale quel fucile ritorna protagonista, seppure in un modo non funzionale alla sua essenza, questa volta a sancire lo scacco alla violenza e alla sopraffazione, regalando un messaggio di speranza, resistenza e liberazione quale è questo breve e sorprendente romanzo di Odile Cornuz.

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