Dolores Prato, rischiare di bruciare andando per il mondo

Un unicum del Novecento italiano, con più di un libro fluviale e incompiuto, e poi questo racconto perfetto, in cui non c’è nulla di superfluo: “Scottature” è uno dei vertici dell’arte letteraria di Dolores Prato. Alle suore che l’ammoniscono di non lasciare il convento per rischiare di imbattersi nei pericoli e nelle tentazioni del mondo, che la scotterebbero, l’educanda risponde assaggiando la vita…

La Lolita della letteratura debuttò a quasi novant’anni, e ci sono ancora suoi inediti che attendono di vedere la luce. L’opera di una vita, il ventesimo secolo visto da una piccola provincia, Giù la piazza non c’è nessuno, arrivò al grande pubblico grazie a Einaudi, sebbene largamente rimaneggiata, affidata alla curatrice Natalia Ginzburg. Dolores Prato (molto amata dalla critica in Francia, come un’altra outsider di lusso ) sarà anche una dimenticata delle patrie lettere, ma grazie alla caparbietà e al buon gusto di Quodlibet, casa editrice con quartier generale a Macerata – e in provincia di Macerata, a Treia, Dolores Prato visse gli anni cruciali, anche per la sua scrittura, dai cinque anni alla maggiore età – Dolores Prato vive nelle librerie. Quodlibet è riuscita a fare quello che non hanno avuto il coraggio di fare editori di grido: si pensi alla stessa Mondadori che, grazie alla curatela di Giorgio Zampa, pubblicò postuma la versione integrale del capolavoro, salvo poi non perpetuarne la memoria con un inserimento permanente in catalogo, in una collana tascabile o in quelle maggiori (nei Meridiani c’è Scalfari, per dire…).

Un’ombra, una vita difficile

Un unicum. Originale, irregolare, un’ombra vissuta in disparte, a lungo insegnante di lettere, negli ultimi anni a Roma, in via Fracassini 4, in una casa che fu cenacolo di scrittori e artisti, come Stefano D’Arrigo e la moglie Jutta Bruto. Fu vittima, erroneamente, delle leggi razziali, esautorata come docente, costretta a tirare avanti con lezioni private e altri lavoretti precari. La materia autobiografica, l’infanzia e l’adolescenza difficili in un borgo marchigiano – non riconosciuta dal padre, affidata dalla madre a un fratello canonico alchimista, poi cresciuta in un educandato salesiano, prima di andare per il mondo, laurearsi, allieva anche di Luigi Pirandello al Magistero, e insegnare – sono centrali in tutte le sue opere.

Un racconto anomalo

Noi uomini siamo chiusi tra la bellezza della terra e quella del cielo. Per avere avuto una custodia così preziosa, può anche essere vero che il dolore umano sia prezioso.

Basterebbe solo una frase del genere per dare la misura di come e quanto possa essere semplice e al tempo stesso levigata la scrittura di Dolores Prato. Scottature (84 pagine, 12 euro), che Quodlibet propone in una nuova edizione, con alcune lettere (fra gli interlocutori d’eccezione Ungaretti e Palazzeschi), in cui si leggono vari tentativi per pubblicare, e una nota al testo della curatrice Elena Frontaloni, è l’unico libro davvero compiuto e concluso in vita dalla scrittrice, prima edito in un’antologia, poi pubblicato a proprie spese da Dolores Prato, dopo la vittoria a un premio letterario; oggetto anomalo, sintetico ed essenziale, agli antipodi dalle altre prove fluviali e mai davvero finire, sempre in fieri, cantieri sempre aperti. Una educanda, tentata di lasciare il collegio in cui è cresciuta e ha studiato, è al centro di una vicenda naturalmente esile, che si risolve in una trentina di pagine perfette, in cui non c’è nulla di superfluo. Lasciare la reclusione per scegliere il mondo, ammoniscono le suore-insegnanti, significa scottarsi, bruciarsi, fra pericoli e tentazioni. Non solo metaforicamente, si direbbe, quando la collegiale va al mare con la sorella e resta vittima di un’insolazione con ustioni. Quella messa in atto è una rivoluzione silenziosa ma implacabile.

Simbolismi e abbandono

Elegante, suadente, scorrevole, ricca di simbolismi, più o meno evidenti, la prosa di Scottature è un formidabile esempio del rischio di bruciarsi e di ironia scagliata contro l’ipocrisia (rappresentata in particolare da una bigotta missionaria laica), di trasporto per la vita contro l’aridità di chi le sconsigliava di scegliere il mondo, di poesia contro il nulla: «Restai lì a guardare le stelle e il mare, e la gioia mia se ne andò tra quelle due cose, così lentamente, così dolcemente che diventò pace». È l’inizio dell’età adulta, delle prime scelte importanti, di scoperte familiari, di un senso d’estraneità e di abbandono che Dolores Prato si trascinerà per l’intera esistenza.

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