Alessandra Racca, diventare madre (ma anche no…)

Sono parole generatrici – sospese e concrete, vibranti e giocose – quelle dei versi di Alessandra Racca, autrice della silloge “Di pancia (e altri organi vitali)”. Un memoir, un diario poetico della gestazione e della maternità, esperienza desiderata e voluta, senza dimenticare la possibilità opposta…

Di pancia (e altri organi vitali) (104 pagine, 13 euro) di Alessandra Racca, Interno Poesia editore, gravita attorno a due possibilità — essere o non essere madre — e alla materia, o meglio, alle carni coinvolte — la pancia e gli altri organi vitali di madre e figlio, evocati nel titolo. La parola al suo interno è dunque ancor più intrisa di attese, incertezze, paure, vertigini e visioni di quanto non lo sia, per sua natura, la parola poetica, ma, ed è questa l’altra cifra della raccolta, è anche gravida di pensieri, racconti, discorsi che si fanno dialoghi, pur restando ancora monologhi: quelli dell’io lirico che misura il tempo, lo spazio, il reale e il possibile della nuova vita che attende, e lo fa attraverso la parola che diviene concretamente generatrice. Nulla esiste al di fuori della parola, per chi scrive, ed è così anche in questi versi di Alessandra Racca.

Cellule e sangue

Tradurti il mondo e intanto

lasciarmi trasportare

in un’esistenza pre verbale

 

Canto, tocco e accarezzo

cerco la realtà dell’esistere

oltre l’esigenza del dire.

 

Non sai quanto mi è difficile pensare

la vita prima del parlare.

Il tutoyer prematuro della voce poetica si rivolge e spiega, immagina, annota, descrive, racconta ciò che prova, quello che accade e spera o teme al grumo di cellule e sangue, che si è formato e si fa sempre più concreto e reale, a mano a mano che i mesi avanzano e entrambi i corpi prendono e cambiano forma.

 

Non hai parola

adesso

e io ti parlo lo stesso

Attesa e arrivo

C’è tutto, non manca nulla nell’orizzonte di attesa (e parola) correlato alla possibilità di essere madre: le fantasie sull’aspetto del nascituro, le ecografie, le minacce di aborto, le domande e le presenze assillanti del mondo esterno, le altre mamme in attesa, le fantasie e i timori relativi al parto, i preparativi domestici — fare spazio in un cassetto, sistemare le stanze di casa, procurare tutine di diverse misure, il papà che si arrampica, fora e solleva —, i calci alle costole e alla pancia, l’indifferenza (del male) del mondo all’evento della nascita, le cicatrici — il cesareo che diviene segno tangibile dell’essere stata soglia — i progetti e le scelte per il futuro — aprire un conto corrente al nuovo nato —, l’allattamento e le prime parole.

È un memoir in versi questo, un diario poetico della gestazione, in cui trova anche spazio un confronto, o meglio, un passaggio del testimone fra generazioni di madri — madre e figlia, ovvero nonna e madre —, che talvolta cede il passo allo scambio complice e intimo fra nonna e nipote.

La parola è ora vibrante, ora sospesa e protesa, riflessiva e decisamente concreta, ma è anche leggera e giocosa.

L’altra possibilità

L’altra possibilità — quella di non essere madre — è solo un semplice cenno, che fa capolino nell’ultima sezione del volume, ma è lì per ricordare che Di pancia (e altri organi vitali) non è un’apologia della maternità, una celebrazione assoluta e categorica dell’essere madre, quanto piuttosto la  (semplice) narrazione in versi di un’esperienza umana, scelta, desiderata, voluta. È andata così (questa volta), sembra suggerirci l’io poeta, ma poteva anche andare diversamente e sarebbe andata bene. Tutto qui.

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