In viaggio con papà, il Cile nebbioso di Zuniga

Torna in libreria, in una nuova traduzione, “Camanchaca” dell’autore cileno. Protagonista un universitario sovrappeso, anima candida e inquieta che soffre. Una classica road story, ma con metafora politica, piena di perché che non sempre avranno una spiegazione

Ha quasi dieci anni l’unico romanzo, breve, brevissimo, del cileno Diego Zuniga edito in Italia. I più attenti si saranno accorti che dal 2015, anno della sua prima pubblicazione in Italia, è stato tradotto due volte: da Vincenzo Barca, per Caravan edizioni, col titolo Passeremo il deserto, e più di recente da Federica Niola, per la Nuova Frontiera, che ha preferito mantenere l’intraducibile titolo originario, Camanchaca (125 pagine, 14 euro). Cos’è la Camanchaca? Una particolare nebbia, misteriosa, umida e fitta, caratteristica del deserto di Atacama, in Cile, un fenomeno improvviso che impedisce di vedere le stelle e non dà punti di riferimento, metafora della storia di un paese, il Cile, e della memoria annebbiata, tra silenzi e reticenze, sugli anni di Pinochet, sanguinario dittatore dai delitti in gran parte impuniti.

Frammenti familiari e incomunicabilità

Un goffo universitario sovrappeso, figlio di genitori divorziati, con gravi problemi ai denti, viaggia in auto col padre, da Santiago del Cile fino a Tacna, in Perù, passando per Iquique, e dunque attraversando anche il deserto di Atacama. Frasi secche e periodi brevi costituiscono più che altro mezze paginette asciutte e singhiozzanti, ma all’agilità della prosa di Zuniga (poco più che trentenne) fa da contraltare una potenza rara. È opposto il destino dei genitori del protagonista: dal nucleo familiare a pezzi è uscita peggio la madre, che sembra incapace di riprendersi, mentre il padre si è rifatto una vita, con una nuova moglie, giovane e bella, e un altro figlio. Lui, il ragazzo, sogna di diventare giornalista sportivo (registra radiocronache inventate), e prova a mettere assieme frammenti di memoria, cercando di ricordare la morte di uno zio, Neno, la scomparsa di una cugina, il nonno testimone di Geova, che annunciava quotidianamente l’apocalisse. Frattanto il viaggio prosegue, col protagonista che sogna di avere col padre qualche forma di comunicazione e, tra realtà, sogni e “interviste” alla madre sul passato, cerca risposte che colmino le sue domande.

Una strada a ostacoli

L’allegoria del Cile, il deserto emotivo di una nazione, che fa i conti con versioni edulcorate della storia, o con frammentari resoconti non ufficiali, è evidente. Il passato familiare (tra vuoti e incongruenze) che il ragazzo vuol comprendere sfugge, è una strada a ostacoli, come il viaggio verso nord che fa con il padre (che vuol portarlo in Cile per fargli curare i denti): il tragitto deve cambiare perché la strada che costeggia il mare è interrotta. E su quella che può sembrare una classica road story, Zuniga innesta, oltre a una metafora politica, la storia di un corpo che si vuol punire (mangiando), di un’anima candida e inquieta che soffre, del desiderio di perdersi nel deserto, di perché che non sempre avranno una spiegazione.

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