I prodigiosi Ephrussi e le “statuine” ritrovate

Una vicenda lunga un secolo e mezzo che si svolge in tre continenti. “Un’eredità di avorio e ambra” di Edmund De Waal è al tempo stesso memoir, saga, non fiction su una dinastia ebraica originaria di Odessa, gli Ephrussi. Ed è un libro sulla bellezza

Chi erano gli Ephrussi? Cosa sono i netsuke? È possibile, dopo anni di ricerche, scrivere in meno di quattrocento pagine sontuose e dettagliate – senza giudizi e sentimentalismi – una vicenda lunga un secolo e mezzo che si svolge in tre continenti? Le risposte si trovano in un volume prodigioso, per cui alla Buchmesse di Francoforte si sono scatenate aste. A spuntarla, per l’Italia, è stata la Bollati Boringhieri, un’istituzione per la saggistica, ma che ha titoli di narrativa per i palati più vari: Von Armin, Israel J. Singer, Lem, Wells, Eliade. Uno degli ultimi gioielli di Bollati Boringhieri è diventato così il rutilante “Un’eredità di avorio e ambra” (394 pagine, 18 euro), opera di non fiction, che pur avendo i tratti del memoir familiare, appartiene a molti generi e a nessuno, intrecciando storia, letteratura di viaggio, arte. L’ha scritta Edmund de Waal (il traduttore Carlo Prosperi), uno degli ultimi eredi di una dinastia ebraica originaria di Odessa, gli Ephrussi.

No alla nostalgia e all’inconsistenza

Una saga? Sì, ma che suona come un omaggio all’immortalità dell’arte e non ha certe stucchevoli caratteristiche delle saghe. È una consegna che l’autore – ceramista di fama internazionale e docente universitario – prende con se stesso nella prefazione: «Ritengo che saprebbe scriversi da sola, una storia del genere. Basterebbe inanellare qualche aneddoto dalle tonalità seppia, approfondire il racconto dell’Orient-Express, colorare la vicenda con i vagabondaggi per le strade di Parigi […] aggiungere qualche ritaglio sulle sale da ballo della Belle Èpoque recuperato da Internet… e voilà. Il risultato sarebbe un resoconto nostalgico. Nostalgico e inconsistente. Io, invece, non ho diritto alla nostalgia rispetto a quei vasti patrimoni perduti e al fascino di un secolo fa, e per di più non m’interessa l’inconsistenza».

Giro del mondo

Le vite dei suoi antenati, così, nel suo racconto lasciano tracce vive. In questo libro-mondo la voce del narratore cede il passo talvolta a quella del divulgatore – i ferri del mestiere sono quelli dello storico dell’arte – con una cura del dettaglio e del particolare fuori dal comune. Il contesto storico e geografico in cui si muovono gli Ephrussi è quanto di più affascinante abbiano offerto gli ultimi due secoli: la Parigi bohémien di fine Ottocento, quella della Terza Repubblica, la Vienna dei primi del Novecento (quella di Freud e Klimt), prima del declino e dello smembramento dell’impero austro-ungarico, il Giappone post-bellico, quello della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale. Nel paese del Sol Levante, negli anni Novanta, de Waal riceve la collezione di 264 netsuke dal prozio Ignace, detto Iggie: i netsuke sono minuscole sculture settecentesche in legno, avorio o ambra (raffiguranti animali, uomini e oggetti di uso quotidiano, originariamente utilizzati come fermagli degli astucci portaoggetti dei kimono), qualcosa in più di un pretesto per ricostruire vite care e lontane, visitando i luoghi, raccogliendo testimonianze, attingendo a riviste e foto d’epoca, epistolari, opere d’arte; le “statuine” ritrovate hanno in sé identità ed epoche storiche, rivisitate come se de Waal le avesse vissute in prima persona.

Una famiglia in esilio

Le vicende della famiglia Ephrussi – dominatori del commercio del grano a Odessa si trasferirono ad ovest – sono intrecciate con quelle dell’alta società e della cultura. Il rinfocolamento dell’antisemitismo disperse i suoi componenti, senza cancellarne del tutto le tracce, ritrovate da de Waal. Il loro nome è citato in racconti di Babel’ e Aleichem, come tra le pagine di Joseph Roth e Musil; Charles Ephrussi è ritratto in un noto dipinto di Renoir ed è uno dei modelli del Charles Swann di Proust: un dandy che frequenta salotti e teatri, un mecenate degli impressionisti, collezionista e critico, che farà i conti con il clima che peggiora nei confronti degli ebrei, a partire dall’affare Dreyfus. Il bisnonno dell’autore, Viktor, patriarca del ramo austriaco – prima che la sua fortuna e la Mitteleuropa naufraghino a causa dell’Anschluss e della seconda guerra mondiale – domina la scena economica e culturale di Vienna; sua figlia Elisabeth ha una fitta corrispondenza con Rilke.

I custodi della bellezza

Sono Charles, suo cugino Viktor ed Elisabeth, figlia di Viktor, nell’ordine, i custodi del netsuke (con la determinante partecipazione di Anna, governante della famiglia viennese), prima di Iggie, fuggito negli Usa, tornato in Europa nello sbarco in Normandia e finito in Giappone, dove vivrà fino all’ultimo con il compagno Jiro. Le loro storie, narrate meticolosamente, rendono più che appagante la lettura. Questione di bellezza, e questo libro è, a suo modo, un libro sulla bellezza.

Un'eredità di avorio e ambra

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