Gamberini, imparare il distacco nell’amore

L’esordio di Sara Gamberini, “Maestoso è l’abbandono”, è un romanzo introspettivo, in cui la protagonista Maria è una giovane donna che deve fare i conti con il senso di inquietudine, con la paura dell’abbandono e della separazione dalle persone che ama, con l’equilibrio precario tra il bisogno di amore e il desiderio di distacco da tutto

Nel romanzo introspettivo dominano il mondo interiore dei protagonisti, le emozioni e gli stati d’animo che sgorgano dal profondo, i processi psichici e le riflessioni più o meno consce: i personaggi compiono un vero e proprio viaggio nella propria anima, rischiando di affondare i piedi nella palude delle paure. Il lettore è proiettato nel succedersi di continui avvenimenti che, spesso, appaiono scollegati tra di loro, nei flashback che lo lanciano nei ripetuti riferimenti a situazioni avvenute nel passato, nei reiterati flussi di coscienza che riportano in superficie ricordi ed emozioni, anche dello stesso lettore. Sostenere il peso di siffatta intimità con lo scrittore non è facile e, per tale motivo, un romanzo introspettivo o si ama o si odia. Succede lo stesso con Maestoso è l’abbandono (201 pagine, 15 euro), il libro d’esordio di Sara Gamberini, pubblicato dalla casa editrice Hacca. Se siete pronti, vi guido nel viaggio verso l’interiorità della sua protagonista

La paura dell’abbandono

«Tutte le strade portano all’abbandono». È la frase del libro di Gamberini che, più di tutte, riassume l’inquietudine di Maria, una donna alla ricerca di risposte alle domande sul senso della vita. Risposte che tenta, dapprima, di trovare nella fede in Dio («Da piccola sono stata cattolica per qualche tempo, parlavo a Dio inginocchiata davanti le aiuole, gli chiedevo di liberare Aldo Moro, mi rivolgevo a lui per le emergenze»), lo stesso Dio che, ben presto, si trasforma in un punitore terrificante, una coscienza morale appuntita che la perseguita e le chiede continui sacrifici estenuanti: è a questo punto che una paura cupa, simile a uno spavento, si impossessa di lei («Secondo la psicoanalisi soffrivo di ansia da separazione e di propensione a spezzare i legami. Ma io avevo paura di allontanarmi da tutto»). È la paura dell’abbandono. Maria ha un rapporto profondo e complesso con il dottor Lisi, il suo psicologo: tenta di trovare un equilibrio tra il bisogno di rifugiarsi nei suoi consigli, nei suoi ammonimenti, e l’esigenza di affrancarsi da una quasi dipendenza che la lega al medico. Anche il rapporto con Lorenzo, collega di lavoro con il quale inizia una relazione, è complesso, conflittuale, insicuro, nonostante lei lo ami senza riserve.

Le persone, fonte di turbamento

La protagonista sente il bisogno di prendere le distanze dalle persone perché, a ogni separazione, l’ansia la minaccia di morte: è la paura di staccarsi prematuramente da qualcuno che si ama, il timore di non riuscire a colmare il vuoto. Però, dopo anni di sensi di colpa, di rimorsi, di rimpianti, riesce a chiudere la porta, a dire addio al dottor Lisi, l’uomo al quale non crede più. Alla psicoanalisi si sostituisce l’amore incondizionato per un altro uomo che diventa malattia e cura, allo stesso tempo, in un equilibrio precario tra bisogno di calore umano e desiderio di allontanarsi da tutto: Maria non sa modulare il distacco, non sa trovare la distanza giusta dal resto del mondo, ha paura di ogni cosa e ciò la spinge ad andare incontro a chiunque, senza riserve, senza alcun filtro, perché solo le persone che hanno ricevuto amore possono fare a meno di tutto. E lei vorrebbe, ma non ci riesce.

L’origine della paura

«Il dottor Lisi mi assicurò che un giorno avrei provato compassione per mia madre che non aveva colpe se non quella di avere sofferto. Invece io l’avrei amata senza mai perdonarla per il resto della vita perché così voleva il fato». Sono commoventi le lettere che Maria scrive alla madre, una donna troppo occupata per potersi prendere cura della figlia. Qui si può trovare la fonte di ogni male, l’origine di quella paura irrazionale dell’abbandono, della separazione («Ho nel cuore un abbandono, per questo sono selvatica […] Nel mio cuore conservo un dolore»). L’infanzia di Maria è trascorsa tra il desiderio di cambiare famiglia e la necessità di preservare la sacralità del focolare familiare, di assolvere e difendere quell’amore non solo da se stessa, ma anche dagli altri.

Esorcizzare dolore, rimpianti e fallimenti

“Maestoso” è un termine musicale utilizzato per definire l’esecuzione di un certo passaggio di musica in modo signorile e dignitoso, un’esecuzione lenta e solenne. È con dignità e signorilità, meritevoli di ammirazione e rispetto, che la protagonista affronta la paura dell’abbandono: con un linguaggio aulico e poetico, la Gamberini accompagna Maria in un vero e proprio processo di esorcizzazione del dolore, dei rimpianti, dei fallimenti. La giovane donna si aggrappa con forza a quella fiammella di fuoco che conserva nel cuore, a quella luce che nasconde nell’anima, riuscendo finalmente ad accettare l’idea che tutto è incomprensibile, che le risposte arrivano con il tempo, in modo inaspettato.
Il romanzo di Gamberini è un libro da leggere lentamente, ritornando indietro sulle righe lette la sera prima, dopo aver meditato, riflettuto. Un libro che può essere doloroso come una corona di spine, che può suscitare sensazioni inspiegabili e toccarvi dentro perché le parole che contiene abbracciano, coccolano e, talvolta, affondano una sberla in pieno viso. È un viaggio per imparare il distacco nell’amore, senza fare a meno dell’amore. In bilico tra prosa e poesia, delicato come un sussurro, ma potente come un’esplosione, tra identificazione e sorpresa continua. Ma potrebbe anche non lasciarvi nulla: tutto dipende dalla predisposizione d’animo che si ha nel momento in cui si sfoglia la prima pagina.

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