Il romanzo “italiano” di Pron fra arte, politica e violenza

“Non spargere lacrime per chiunque viva in queste strade” è la prova della maturità dell’argentino Patricio Pron. Nel romanzo “italiano” si intrecciano la storia di un ipotetico Congresso degli scrittori futuristi, ai tempi della repubblica di Salò, e tre generazioni di una famiglia. I dettagli storici sono un pretesto per ragionare su verità e menzogna

E poi arriva un argentino, adottato dalla Spagna, Patricio Pron, e con una specie di inchiesta sulla morte – incidente? suicidio? omicidio? – di uno scrittore, Luca Borrello, la cui produzione letteraria è andata perduta, si mette a spiegare pezzi della storia italiana, con sguardo acuto, e soprattutto, a fissare l’attenzione sui rapporti tra arte e violenza, a ragionare su di essi, in particolare su come la letteratura possa diventare politica e la politica farsi crimine.

Argentino di casa in Europa

Poco più che quarantenne, l’argentino Patricio Pron è scrittore di lungo corso, s’è trasferito molto giovane in Europa, dapprima in Germania, dove si è laureato in filologia romanza, poi a Madrid, dove traduce e scrive, non solo libri, ma anche articoli per riviste culturali. Il suo primo libro tradotto in Italia si deve a Guanda, Lo spirito dei miei padri si innalza nella pioggia era un’indagine sul passato proprio e dell’Argentina della dittatura. Ed è anche un’indagine, in forma romanzesca, il suo volume più recente, portato in libreria, grazie alla traduzione di Francesca Lazzarato, dalle audaci edizioni Gran Via, Non spargere lacrime per chiunque viva in queste strade (344 pagine, 17 euro).

Gli scrittori futuristi e una famiglia “rossa”

Dagli anni Trenta-Quaranta ai giorni nostri. Fra Torino e dintorni, Perugia, Roma e Milano. Queste sono le coordinate spazio-temporali del romanzo di Pron, che ne ha scritto gran parte proprio in Umbria. Con grande fantasia l’autore argentino intreccia due snodi narrativi, storie di perdenti, quella dei Linden, una famiglia italiana (il nipote, che vive nel presente, a Milano, frequenta movimenti antagonisti e centri sociali, battendosi contro certe riforme del mondo del lavoro; il padre ha fatto parte, in modo non ortodosso, delle brigate rosse, a Roma, ai tempi del rapimento di Aldo Moro; il nonno ha partecipato alla Resistenza), e quelle di un ipotetico Congresso degli scrittori fascisti, a Pinerolo nell’aprile 1945 (interrotto al secondo dei quattro giorni previsti, per la morte improvvisa di Borrello), e di un gruppo di scrittori futuristi perugini, al tramonto del fascismo. Questi i poli del racconto, che oscilla tra verità e menzogna, letteratura e politica; chiaramente, l’orizzonte storico e storiografico c’entra relativamente, è un pretesto: a chi ha scritto e a chi ha letto (o leggerà) questo romanzo interessano di più le relazioni tra memoria, storia e finzione, a cominciare dalle primissime pagine, un prologo ambientato alla fine degli anni Settanta, ovvero dalle parole di quattro possibili testimoni, quattro scrittori futuristi, sulla scomparsa di Luca Borrello. È il brigatista Pietro o Peter Linden a intervistare i sopravvissuti del Congresso per capire il nesso tra suo padre Francesco, partigiano, e Luca Borrello…

Prosa sofisticata, stile maturo

Rischia di sconfinare sul terreno del gioco metaletterario fine a se stesso, quest’opera di Pron. Non spargere lacrime per chiunque viva in queste strade però va per la sua strada molto più che dignitosamente. La prosa è sofisticata, la maturità stilistica evidente, il risultato è intenso, complesso. La letteratura, intesa come la più politica delle arti, si interroga concretamente sulla vita, su ciò che è vero, su ciò che non lo è, sulle imperscrutabili relazioni fra genitori e figli.

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